Caporalato, rinviato a giudizio l’imprenditore Ercole Di Nicola

Immigrati del Bangladesh sfruttati; a processo l'ex dirigente sportivo con uno straniero

Caporalato, rinviato a giudizio l’imprenditore Ercole Di Nicola
di Teodora Poeta
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Domenica 19 Maggio 2024, 10:44

Braccianti agricoli asiatici sfruttati in una società cooperativa di Morro d’Oro, in provincia di Teramo, dove avrebbero lavorato per meno di cinque euro ad ora con l’intermediazione di un loro connazionale. Una situazione di caporalato per cui sono stati rinviati a giudizio, con la precisa accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il 37enne originario del Bangladesh ma residente a Roseto Mohammed Shahjalal (difeso dell’avvocato Daniele Di Furia) e l’ex dirigente sportivo e imprenditore Ercole Di Nicola, 47 anni, residente a Morro D’Oro (difeso dell’avvocato Maurilio Prioreschi).

Così come ricostruito dall’accusa, da settembre del 2021 fino al 2023, otto giovani cittadini del Bangladesh sarebbero stati reclutati come braccianti agricoli dal 37enne loro connazionale in sette aziende, tra le quali figura la società cooperativa agricola con sede a Morro d’Oro di cui all’epoca delle contestazioni Ercole Di Nicola era amministratore di fatto e dove, appunto, i lavoratori sarebbero stati sottoposti a condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno. Questo dovuto al fatto che si trattava di giovani stranieri, che non conoscevano la lingua italiana e senza il permesso di soggiorno.
«Specificatamente – si legge nel capo d’imputazione – utilizzava i lavoratori senza permesso di soggiorno senza sottoscrivere alcun contratto di lavoro ed assumeva quelli con permesso di soggiorno per un numero di ore inferiore rispetto a quelle effettivamente lavorate e corrispondeva la paga in contanti (per intero ai lavoratori senza contratto e solo per le ore ulteriori rispetto a quelle dichiarate a quelli contrattualizzati) versandola direttamente all’intermediario Mohammed Shahjalal che le consegnava ai lavoratori detraendo la parte a lui spettante per l’intermediazione operata». Tutto questo senza il rispetto delle norme sulla sicurezza dei luoghi di lavoro che prevedono la visita medica preventiva di idoneità alla mansione e in mancanza di ogni requisito minimo di sicurezza, quali i corsi di formazione e informazione, come ha contestato sempre l’accusa a Di Nicola, e assenza dei dispositivi di protezione individuali. Dalle indagini sarebbe stato accertato che i lavoratori percepivano un compenso di 40 euro ogni 8 ore lavorative, ad eccezione di uno che invece lavorava 6 ore al giorno ricevendo la paga direttamente dal datore di lavoro ogni duo o tre mesi. Ma a quei soldi bisognava togliere la percentuale che il loro connazionale si tratteneva per l’intermediazione svolta. E così nelle tasche dei braccianti rimaneva una miseria che loro erano costretti a prendere pur di poter lavorare e avere qualche soldo in tasca dopo ore nei campi. Al momento non risultano penalmente coinvolti i titolari o gli amministratori delle altre aziende. Il processo inizierà ad ottobre.

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