Luca Ricolfi
​Luca Ricolfi

Il commento/ Teoria gender, le vere vittime sono le donne

di ​Luca Ricolfi
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Lunedì 20 Maggio 2024, 00:02
Il 7 maggio il governo sottoscrive una dichiarazione europea contro omofobia, transfobia, bifobia. Dieci giorni dopo, invece, non sottoscrive un documento che contiene una apparentemente analoga dichiarazione, che auspica un crescente impegno degli stati europei ad attuare misure a favore delle minoranze Lgbtiq. La motivazione addotta per la mancata sottoscrizione è che il secondo testo (quello non votato), in quanto “sbilanciato sull’identità di genere”, richiamerebbe l’impostazione del ddl Zan. La mancata firma suscita una pioggia di critiche, anche perché a non firmare – oltre all’Italia – sono solo 8 paesi ex comunisti, per lo più considerati arretrati sul terreno della promozione dei diritti civili. Inoltre, vien fatto notare che la posizione del governo non è condivisa da tutti gli esponenti della maggioranza, e in particolare da alcuni membri di Forza Italia. Nessuno, però, chiarisce fino in fondo qual è l’oggetto del contendere. E allora diciamolo in modo esplicito: il punto è il cosiddetto self-id, o autoidentificazione di genere, ossia la possibilità di scegliere liberamente, senza pastoie mediche o legali, il genere con cui si desidera essere identificati. Alcuni, con buone ragioni, sono a favore. Altri, con buone ragioni pure loro, sono contro. 
Le ragioni a favore sono abbastanza semplici e chiare, e si richiamano al principio di libera autodeterminazione della persona: se per la mia felicità e autorealizzazione è essenziale identificarmi con un determinato genere, nessuno deve avere il potere di impedirmelo, o di discriminarmi per questo, o di riversare odio su di me. 
Come non essere d’accordo? E invece c’è qualcuno che d’accordo non è. Vediamo le sue ragioni. La prima riguarda le transizioni di genere precoci e medicalmente assistite, con bloccanti della pubertà, ormoni, ed eventuale operazione chirurgica: dopo il rapporto Cass, e alcune importanti revisioni della letteratura, è sempre più evidente che il cosiddetto “protocollo olandese”, finora adottato per trattare le richieste di cambiamento di genere, è privo di basi scientifiche solide. Il sospetto che i rischi superino i benefici, e che in passato si sia troppo spesso messa a repentaglio la salute fisica e mentale di tanti adolescenti, è sempre più diffuso nella comunità scientifica. La ragione di disaccordo più importante riguarda però un altro aspetto, sociologico e giuridico. Contrariamente a quanto molti credono, l’affermazione per legge di determinati diritti per determinati gruppi può andare a scapito dei diritti e delle prerogative di altri gruppi. Il caso più clamoroso è quello delle donne, i cui diritti e conquiste verrebbero gravemente compromessi dalle transizioni nominali (senza operazione chirurgica) da maschio a femmina, i cosiddetti passaggi MtF. È già successo con i detenuti biologicamente maschi che pretendono di essere ospitati nei carceri femminili (con numerosi casi di stupro). È già successo con gli atleti maschi che pretendono di gareggiare nelle competizioni femminili, sbaragliando le atlete biologicamente donne. È già successo alle elezioni, con i candidati maschi che si dichiarano femmine, e occupano posti che le quote rosa intendevano riservare alle donne. E naturalmente può succedere, più in generale, ovunque alle donne la prassi e il buon senso riservino spazi propri, preclusi ai maschi, come nei bagni, negli spogliatoi, nei centri anti-violenza.
In breve, il problema è che, se il self-id viene introdotto sul serio, ovvero se un maschio che si percepisce femmina può accedere a tutti i diritti che la legge e i regolamenti riservano alle donne-donne, queste ultime non possono che vedere gravemente compromesse tante loro conquiste, a partire dalle quote ad esse riservate in determinati concorsi, nei consigli di amministrazione, nelle competizioni politiche, per non parlare della miriade di sussidi e benefici pensati per migliorare la condizione femminile. Ecco perché una parte del mondo femminile, anche progressista, è a suo tempo insorto contro ddl Zan, e vede come fumo negli occhi le leggi che, in vari paesi europei, hanno introdotto o stanno introducendo il self-id. Ed ecco perché un paese come la Scozia, che ha sperimentato una legge sul self-id, sta precipitosamente facendo marcia indietro.
Per concludere. Quello sul self-id non è uno scontro di civiltà, ma un normale conflitto sociale e culturale. Entrambe le soluzioni – accettare o rifiutare il self-id – hanno le loro buone ragioni e i loro inconvenienti. La scelta non è fra l’oscurantismo dei paesi di Visegrad e l’illuminata saggezza dei paesi europei occidentali. Se non altro perché la Polonia (che ha firmato), è uno dei quattro paesi di Visegrad, e il Regno Unito (che respinge risolutamente il self-id), è la culla della civiltà liberale.
Dobbiamo rassegnarci: certi dilemmi non si risolvono con la ragione, ma con il confronto aperto fra cittadini che la pensano diversamente. È anche a questo che serve la democrazia.
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