Toti, una talpa in procura: «Non dovete fare nomi e non parlate al telefono»

Emergono altri dettagli nell’inchiesta ligure. Il governatore cercava voti per l’elezione di Bucci: «Chiediamo aiuto a quelli che paghiamo»

Toti, una talpa in procura: «Non dovete fare nomi e non parlate al telefono»
di Claudia Guasco, inviata a Genova
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Mercoledì 15 Maggio 2024, 00:12

È il 30 settembre 2020, i fratelli Arturo Angelo Testa e Italo Maurizio Testa - iscritti a Forza Italia in Lombardia e ora sospesi dal partito - sono a Genova per incontrare alcuni esponenti della comunità trapiantata nel capoluogo ligure da Riesi, provincia di Caltanissetta. All’appuntamento si presenta anche un uomo con la felpa e il cappellino. Si tratta, raccontano le carte, di Umberto Lo Grasso, consigliere comunale in quota Toti. «Stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono», consiglia. E Italo Testa lo rassicura: «Sì lo so, non ti preoccupare. L’ho stutato», «spento» in dialetto siciliano.

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PROMESSE

Ora si investiga per individuare chi ha avvertito Lo Grasso e l’ipotesi è che si tratti di una talpa, da tempo c’è un fascicolo per rivelazione del segreto d’ufficio tornato d’attualità sulla scorta di una intercettazione del settembre 2020 agli atti del filone dell’inchiesta della Procura di Genova sulla la presunta corruzione elettorale aggravata dall’agevolazione mafiosa.

Nelle regionali liguri del 2020 i fratelli Testa avrebbero promesso posti di lavoro per far convogliare i voti degli elettori riesini verso il candidato Stefano Anzalone (indagato), teorema accusatorio respinto ieri da Arturo davanti al gip: «È stata una campagna elettorale come abbiamo fatto sempre e poi sono solo 300 voti - ha affermato - Io non ho convinto nessuno dei riesini e non ho promesso o fatto favori». E ancora: «Toti lo conosco da quando era coordinatore nazionale di Forza Italia. Noi non abbiamo mai chiesto assunzioni per nessuno». Ma l’ingombrante presenza dei Testa nell’ambiente politico ligure, in base agli atti, non si limiterebbe alla tornata delle regionali. A giugno 2022 si vota per le amministrative a Genova e il 13 febbraio una cimice capta una conversazione nell’ufficio del governatore Giovanni Toti. Con lui il sindaco Marco Bucci, il capo di Gabinetto Matteo Cozzani, la portavoce e un’assistente. Tema di discussione è il sostegno a Bucci per la rielezione, si parla di liste elettorali e dei costi per il mantenimento della campagna stimati in 250 mila euro. E il presidente la butta lì: «E i riesini? I fratelli Testa». Una richiesta, rilevano gli investigatori, che «suscita una reazione preoccupata» da parte di Cozzani: «Stacci lontano, quelli ci mettono in galera». Teme i riesini e i due fratelli al punto da affermare: «Questi mi squartano», richiamando secondo le ipotesi dei pm a supposte promesse non mantenute. Sul punto interviene Toti: «Ma perché, non gli abbiamo dato dei soldi?».

LA LETTERA

Ieri Italo Testa si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma ha depositato una lettera del 2007 scritta ai siciliani dall’allora candidato sindaco del Pd Marta Vincenzi, per dimostrare che i politici di qualsiasi schieramento avevano rapporti con la comunità. E per tre ore è stato ascoltato anche colui che si profila essere il supertestimone dell’inchiesta: Rino Canavese, componente del Comitato di gestione del porto e l’unico a votare contro il rinnovo trentennale delle Rinfuse a Spinelli, ritenendo che l’operazione facesse parte di un «meccanismo perverso». Canavese si proclama molto arrabbiato: «La credibilità che avevamo come sistema portuale - sostiene - adesso non l’abbiamo più».

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