Niente social fino a 16 anni: FdI e Pd dichiarano guerra ai baby-influencer del web

La proposta: per aprire un account prima di quell’età servirà il consenso dei genitori

Niente social fino a 16 anni: FdI e Pd dichiarano guerra ai baby-influencer del web
di Andrea Bulleri
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Martedì 21 Maggio 2024, 00:13 - Ultimo aggiornamento: 00:17

In Germania la stretta è già diventata legge, in Francia se ne discute da oltre un anno. E anche in Italia, ora, ci sono le condizioni perché la proposta si traduca presto in realtà: niente social per chi ha meno di 16 anni. A meno che il loro utilizzo non avvenga col consenso (e la supervisione) di un genitore.

Dopo un appello del Garante dell’Infanzia e una proposta di legge firmata da Carlo Calenda, l’idea di imporre dei paletti più severi per iscriversi a Instagram, TikTok, Snapchat e Facebook (su cui secondo l’ultimo Atlante dell’Infanzia di Save the Children passa il tempo il 79% dei 14-17enni e il 40% degli 11-13enni italiani) conquista anche i partiti più grandi. Con Fratelli d’Italia e Pd che hanno appena firmato una proposta di legge «in sincrono» con un doppio obiettivo. Da un lato, imporre alle piattaforme social l’obbligo di accertare l’età dell’utente, che se minore di 16 anni (ma si sta ragionando se abbassare ulteriormente la soglia a 15) dovrà essere «assistito» da un genitore o un tutore che dia l’ok all’iscrizione al sito. Dall’altro, normare per la prima volta un’autentica giungla senza regole: quella dei cosiddetti “baby influencer”.

Ragazzini (e talvolta bambini) che sponsorizzano prodotti incassando anche cifre significative, ma che a differenza di quanto accade con gli spot pubblicitari sui mezzi tradizionali non sono sottoposti a nessun tipo di tutela giuridica.

IL TESTO
A firmare il testo, ancora oggetto di limature, sono state due esponenti della Commissione Infanzia e adolescenza: Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia, che lo ha depositato in Senato, e Marianna Madia del Pd che lo ha consegnato alla Camera. Con una convergenza bipartisan sull’argomento che fa pensare che il percorso del ddl possa essere spedito, anche se le proponenti vogliono prima attendere gli esiti dell’indagine conoscitiva sul tema social e minori che la Commissione ha appena deciso di far partire. La bozza (ribattezzata «Disposizioni per la tutela dei minori nella dimensione digitale») si compone di sei articoli. E per cominciare introduce disposizioni «per la verifica dell'età dell'utente» da parte dei gestori delle piattaforme. Non solo: il ddl stabilisce che «i contratti con i fornitori di servizi della società dell'informazione conclusi da minori di anni 16 sono nulli», e non possono «rappresentare idonea base giuridica per il trattamento dei dati personali». Spetterà quindi alle società del web «l'onere di provare che i contratti siano stati firmata da ultra-sedicenni» o da minori «con l'assistenza di chi ne esercita la responsabilità genitoriale o ne è tutore». Nessun divieto assoluto al di sotto ai 13 anni, dunque, come proposto da Calenda, ma la possibilità di lasciare la scelta ai genitori.

Duro invece l’intervento a tutela dei “baby influencer”: «Bambini che sin dall'età di tre, quattro, cinque anni – si legge nel testo – vengono utilizzati per la promozione di prodotti e servizi, spesso destinati ad altri coetanei, attraverso le grandi piattaforme di condivisione». In questo caso il ddl stabilisce che «la diffusione, non occasionale, dell'immagine di un minore di sedici anni attraverso un servizio di piattaforma online» è soggetta «all'autorizzazione di chi ne esercita la responsabilità genitoriale o ne è tutore». Ma anche – e sta qui la rivoluzione – «della direzione provinciale del lavoro», nel caso in cui la diffusione dell'immagine del minore produca o sia finalizzata a produrre «entrate dirette o indirette superiore ai 12mila euro all'anno».

NUMERO AD HOC
Quando i proventi dell’attività social sono maggiori, invece, i guadagni dovranno essere versati «su un conto corrente intestato al minore protagonista dei contenuti». E non potranno essere utilizzati «in nessun caso da chi esercita la responsabilità genitoriale sul minore, salvi eventuali casi di emergenza nell'esclusivo interesse» del bambino e «previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria minorile». Infine, viene prevista la creazione di un numero d’emergenza ad hoc, il 114, una sorta di “telefono Azzurro” da realizzare con una piccola tassazione del fatturato (lo 0,035%) delle grandi piattaforme web. E anche i marchi che utilizzeranno come sponsor gli influencer ragazzini dovranno «verificare il rispetto» di queste condizioni.

Un provvedimento che, spiega Mennuni, nasce sulla scia del decreto Caivano, che tra gli altri punti prevedeva anche l’obbligo in capo ai gestori dei siti web pornografici di accertare la maggiore età degli utenti. «Anche in Italia – avverte la senatrice meloniana – bisogna agire per regolamentare l'uso dei social da parte dei giovani, per contrastare le nuove insidiose dipendenze verso contenuti violenti o di cyberpornografia». E la proposta di legge va in questa direzione: «Vogliamo offrire un contributo all’azione per tutelare la dignità dei bambini e degli adolescenti nel mondo del digitale. Intendiamo lavorare insieme al Garante e all’Agcom. E ci auguriamo – conclude – che tutte le forze politiche vogliano aderire a questo percorso».

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