Mario Ajello
Mario Ajello

L'editoriale/ ​Il blitz, le urne e qualche domanda

di Mario Ajello
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Mercoledì 8 Maggio 2024, 00:50

La giustizia, in quanto materia non divina ma terrena e laica, la fa il tempo. Se il tempo è in contraddizione con l’esercizio pacato, prudente, fattuale della giustizia, il rischio è che a pagare per questa discrasia siano insieme l’intera comunità - tanto chi nella giustizia ci lavora, quanto chi come cittadino ne viene a contatto, e chi come opinione pubblica ne guarda e valuta l’operato - e in generale l’equilibrio democratico. In Italia, forse più che altrove, il rapporto tra la giustizia e il tempo è conflittuale. E bisognerebbe riportare la giustizia nel tempo che le compete. Ma come si fa in questo caso, che è il caso dell’inchiesta sul governatore della Liguria Giovanni Toti e degli arresti in corso, se la concitazione del momento pre-elettorale e l’annunciata riforma della magistratura rendono il campo particolarmente complicato e strapieno di contese?
Tutto accade alla vigilia di un passaggio in un certo senso storico, se riferito alla storia degli ultimi trent’anni: c’è un governo che s’intesta la separazione delle carriere tra pm e giudici, e apre con le toghe un confronto, aspro fin che si vuole, ma non privo di utilità e di significato.

 Qui entra in gioco il rapporto tra la giustizia e il tempo. Il rischio è che si possa, sia pure congetturalmente, pensare che la finalità dell’inchiesta sia quello di fermare o depotenziare il dialogo che si è aperto. Se ciò accadesse, sarebbe un grande danno per la democrazia, perché la narrazione sospettosa di una giustizia a orologeria, frutto di pregiudizio, s’imporrebbe alla realtà come una camicia di forza.

Ma la realtà invece è un’altra. Anche se ha a che fare, in un modo diverso, con il tempo. Cioè con il rapporto tra l’azione penale e le vicende oggetto dell’indagine. L’ordinanza di custodia cautelare con la firma del gip porta la data del 6 maggio. La richiesta del pm invece è datata 27 dicembre 2023, cioè oltre quattro mesi fa. I fatti per cui si chiede l’arresto del governatore sono collocati tra il 2020 e il 2022, cioè tra quattro e due anni prima. Questa distanza temporale alza una domanda sull’intera indagine, che il senso comune declina più o meno così: se è sacrosanto indagare, qual è la ragione degli arresti? In senso giuridico, riferendoci ai criteri interpretativi della Cassazione per giustificare la misura cautelare, la domanda suona invece in modo più tecnico: qual è l’attualità? È proprio necessario privare della libertà gli indagati, fermare la vita amministrativa di una Regione, decapitando di fatto la sua giunta e compromettendo la legislatura?

Agli atti dell’indagine ci sono mesi e mesi di intercettazioni, pagine e pagine di accertamenti bancari, verifiche amministrative, tanto da ritenere che gli indizi raccolti, o piuttosto le prove – questo lo stabilirà solo il terzo grado di giudizio – siano stati già, come si dice in gergo, cristallizzati.

Quale pericolo di reiterazione del reato, di fuga, di inquinamento delle prove può ormai ravvisarsi?

Il cittadino elettore, che non conosce la scientifica coerenza della giustizia, rischia di restare confuso e di pensare che il target dell’indagine sia appunto quello di condizionare le elezioni europee alle porte, picconando il leader di uno dei partiti della maggioranza, o peggio quello di spezzare quel sottilissimo dialogo che si è aperto tra il governo e le toghe. Perché talvolta il caso ci mette del suo, e il caso vuole che l’inchiesta deflagri nello stesso giorno in cui il guardasigilli Carlo Nordio si confronta con l’associazione nazionale dei magistrati su una delle riforme più difficili della storia repubblicana. Così il pensiero corre alle sagge parole del Presidente Mattarella, il quale ha ricordato più volte che i magistrati non solo devono essere indipendenti, ma devono soprattutto apparire tali.

Un’azione penale come quella in corso a Genova corre il rischio di impattare in maniera imperfetta sul tempo della democrazia. Perché allo stato impone un solo racconto, quello dell’accusa, e ne fa discendere conseguenze irreversibili. Sono questi i momenti in cui la responsabilità delle istituzioni risulta decisiva. E qui le istituzioni sono due: un governo che s’intesta un disegno riformatore e una magistratura chiamata, forse per la prima volta, a sentire la voce e i turbamenti della sua maggioranza silenziosa, consapevole che gli eccessi dell’azione penale non colpiscono solo la politica, ma anche l’indipendenza e la credibilità della toga.

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