Hanno aperto le tre scatole sigillate, estratto le buste con gli oggetti che sono rimasti del processo per l'efferato omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenne scomparsa da Brembate di Sopra il 22 novembre del 2010 e trovata uccisa in un campo di Chignolo d'Isola ad alcuni chilometri di distanza esattamente tre mesi dopo. Gli avvocati di Massimo Bossetti che per quell'omicidio è stato condannato definitivamente all'ergastolo e che seguiva l'udienza in videoconferenza dal carcere di Bollate (Milano), hanno potuto vedere per la prima volta reperti e campioni che hanno portato all'ergastolo il loro assistito.
Le prove
Tra i reperti, i leggings, gli slip che indossava quando Yara fu rapita nei pressi della palestra in cui praticava ginnastica ritmica e sui quali fu trovata la traccia di Dna 31G20, prima attribuita a Ignoto 1 e poi a Bossetti.
Ignoto 1
«Ci sarebbe da scrivere un libro - hanno aggiunto -; prima ci è stato detto che il materiale era tanto, poi che era poco, adesso capiamo che è tanto, se c'erano 23 diluizioni. Ora, però, soprattutto scopriamo che queste analisi erano ripetibili dal primo giorno. Il materiale c'era mentre la Corte d'assise d'appello e la Suprema corte ci hanno detto che quel materiale era esaurito. Oggi abbiamo la prova che questo è un falso storico». «Per noi è una certezza che Ignoto 1 non fosse Massimo Bossetti, anche al dl là della prova genetica su cui si fonda quasi esclusivamente il processo - hanno insistito - ma per parlare di revisione dobbiamo dare elementi nuovi e diversi rispetto alla prova genetica». I reperti hanno la loro importanza «in quanto il Dna si deteriora quando è estratto mentre sui tessuti si può ancora analizzare potrebbe essere estratto anche domani e restituirci risultati come dieci anni fa. Sui reperti il lavoro si può fare - hanno concluso - sui campioni abbiamo qualche dubbio»