Massimo Adinolfi

L'editoriale/ Le due sinistre e la lezione dell'Europa

di Massimo Adinolfi
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Martedì 14 Maggio 2024, 00:29

Figli del vuoto. Senza legami. Con una richiesta di senso che la politica, sempre meno ambiziosa, non riesce più a soddisfare. Così Raphaël Glucksmann, figlio del filosofo André e un po’ filosofo anche lui, descrive i francesi alla vigilia del voto europeo. Fondatore di Place publique, Glucksmann è oggi l’uomo su cui punta la sinistra socialista per risollevarsi, dopo un lungo declino che sembrava, fino a poco tempo fa, inarrestabile. Certo, i sondaggi lasciano pochi dubbi: in Francia, a trionfare sarà il Rassemblement National di Marine Le Pen. Ma c’è vita a sinistra: Renaissance, la formazione politica fondata da Emmanuel Macron, rischia infatti di essere scavalcata dalla coalizione guidata da Glucksmann, il cui profilo di intellettuale prestato alla politica corrisponde felicemente alla necessità, non più differibile, di riscrivere i programmi e ripensare i compiti della sinistra in Europa.

Con un paio di punti fermissimi: l’europeismo da un lato, il rigetto del populismo dall’altro. Il che si traduce, sul piano internazionale, nello schierarsi dalla parte di Kiev senza se e senza ma - cioè anche senza la foglie di fico del pacifismo nostrano - e, sul piano interno, in una perentoria rottura con La France Insoumise del populista Mélenchon.

Ci sono quindi due sinistre? Direi proprio di sì. La novità, però, non è questa, quanto piuttosto il fatto che la sinistra riformista, a Parigi, non è più tristemente relegata ai margini, ma ha le carte per tornare a giocarsi la partita politica ed elettorale.

Le urne diranno presto se la strada intrapresa dal giovane Glucksmann può dar frutti, ma intanto quel che succede in Francia sembra segnalare una tendenza che è più ampia, e riguarda anche altri paesi europei.

In Germania, la Spd è alla guida del governo, con Olaf Scholz. Francamente, è più facile indicare i punti di continuità con l’azione di Angela Merkel che non i punti di discontinuità. La Germania vive più acutamente che altrove la crisi dell’ordine globale. Le condizioni di una lunga prosperità assicurate dalla felice combinazione di accesso a fonti energetiche russe a basso costo, penetrazione dell’industria tedesca sui nuovi mercati asiatici, e spese per la difesa a carico soprattutto dei contribuenti americani sono venute meno. Ma altro ancora deve venire meno, a dar retta al gruppo di intellettuali e storici, tutti di sinistra, che, in una lettera aperta, hanno chiesto di recente alla leadership socialdemocratica di rompere ogni appeasement nei confronti della Russia di Vladimir Putin. Per Wolfgang Münchau, che ha rilanciato il documento, si tratterebbe di una svolta paragonabile alla Bad Godesberg che, nel secondo dopoguerra, collocò la socialdemocrazia tedesca nel campo occidentale, rompendo con l’ortodossia marxista.

Quel che aspetta Scholz (che non ha mai fatto parte della «gang pro-Russia»), è insomma di riprendere la marcia verso Ovest, lasciando ai partiti radicali di estrema destra (AfD) e di estrema sinistra (la nuova formazione della veemente Sahra Wagenknecht) i voti populisti, nazionalisti, russofili in uscita.

Non è facile, ma è la strada tracciata dall’Europa, confortata dal fatto che il cosiddetto sovranismo democratico e il populismo inclusivo praticati a sinistra nell’ultimo decennio sono palesemente in affanno. Le parabole più significative sono quelle di Syriza in Grecia e di Podemos in Spagna. In Grecia, governa ormai la destra, dopo la sonora sconfitta di Tsipras, nel ’23; in Spagna, invece, a reggere – in condizioni di grande debolezza – le sorti del paese è una coalizione di sinistra ma a guida socialista (mentre Pablo Iglesias, il carismatico leader di Podemos, si è ritirato a vita privata). Anche fuori dal perimetro dell’Unione, nel Regno Unito, si è aperta una profonda distanza dalla stagione radicale di Jeremy Corbyn con il nuovo partito laburista di Kefir Starmer (e la terza vittoria consecutiva a Londra di Sadiq Khan).

Ogni Paese fa storia a sé, ovviamente. O almeno la fa, la dovrebbe fare la sua classe politica: in Germania, c’è da fare i conti con il peso storico della tradizionale Ostpolitik e il retaggio dell’ex Ddr nei Länder orientali; nel Regno Unito, c’è di mezzo l’eredità della Brexit; in Spagna, incombono le mire indipendentiste di paesi baschi e Catalogna. Quanto alla Francia, è il tradizionale laicismo repubblicano il tratto culturale e ideologico a partire dal quale ripensare la cittadinanza e colmare il vuoto di senso denunciato da Glucksmann. Ma in Italia? Cosa c’è in Italia? Il giro per le capitali europee lo abbiamo condotto per cercare di capire dove voglia invece andare a parare il Pd, quali lettere scrivano i suoi intellettuali (se ce ne sono), che fine abbiano fatto i riformisti e quanto sia rimasto in piedi della stagione giallo-rossa, con Giuseppe Conte punto di riferimento fortissimo del campo largo progressista.

Forse resiste il pensiero che si può ancora surfare sull’onda populista, dando un colpo al cerchio e uno alla botte, votando per le armi all’Ucraina ma candidando pure chi quel voto contesta, oppure negoziando con Gentiloni il nuovo patto di stabilità per poi non votarlo. In chiave elettorale potrà anche funzionare, ma che in questo modo una prospettiva di governo si avvicini è tutto da dimostrare, e anzi il riallineamento europeo, a conti fatti, sembra dimostrare il contrario.

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