Lazio, Maestrelli: «Il limone di Giorgio e un amore che non passa. La vita da film di Babbo»

«Mio padre è ancora nel cuore dei laziali, anche di chi non c’era. Ecco perché sto realizzando una pellicola su di lui»

CURVA MAESTRELLI La consegna della targa al figlio Massimo
di Alberto Dalla Palma
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Domenica 12 Maggio 2024, 06:30

Tu chiamale se vuoi emozioni… canta Lucio Battisti, ancora oggi una delle icone della lazialità più coinvolgente e appassionante. Si alza in piedi uno stadio intero quando poco prima che la squadra scenda in campo suona un inno acquisito nel tempo. «E io di emozioni ne sto vivendo ogni giorno, in grandi quantità, da almeno due mesi. Sembra quasi che babbo sia ancora vivo, tanto riesco a ricevere e a trasmettere alla gente che mi parla, mi cerca e mi abbraccia» racconta Massimo Maestrelli, ultimo figlio di Tommaso, allenatore della Lazio che il 12 maggio del 1974 vinse il suo primo scudetto. Non uno scudetto qualsiasi, non una Lazio qualsiasi: i successi, le sconfitte, le morti, le fughe, le ribellioni e l’amore l’hanno resa unica e indimenticabile, per sempre. L’Olimpico, oggi, sarà strapieno solo per loro, gli eroi di quella epica avventura che è entrata nella storia del calcio. Oltre ai reduci del ’74, tra cui Oddi e Martini, ci saranno i figli che ricorderanno i padri. E poi i Maestrelli, che sono ancora tanti anche se di Tommaso è rimasto soltanto Massimo, sguardo, atteggiamenti e stile di vita del babbo. Con lui Tommaso jr e Niccolò, poi i figli di Maurizio, Alessio (giocatore della Turris) e Andrea e i figli di Patrizia, ancora Tommaso jr2 e Federica.

EREDITÀ

«Non sarà facile gestire le emozioni, volete sapere l’ultima? Sto girando un film sulla vita di mio padre, dalla guerra fino alla sua scomparsa (uscirà a ottobre, produzione Rai-Groenlandia, ndr) e così telefono ad Alberto Bigon, che giocava nel Foggia ma che poi ha vinto lo scudetto a Napoli con Maradona. L’ho invitato a casa, a mangiare con i miei figli e i miei nipoti: ebbene, si è messo a piangere, tanto gli batteva il cuore. La lazialità ti entra dentro e ti travolge, è un sentimento unico. Pensate, babbo lo voleva nella sua Lazio, con Re Cecconi, ma il presidente Lenzini gli disse o uno o l’altro e scelse Luciano. Ma Bigon arrivò qualche anno dopo, nonostante mio padre non ci fosse più: non potevo chiudere la carriera senza giocare nella squadra di Maestrelli, mi ha ricordato in questi giorni».

Non c’è un ricordo più forte della Lazio di Tommaso, di Chinaglia, di Pulici e Wilson, di Re Cecconi. Ha scritto la storia e l’ha trasmessa per l’eternità. «Lo sapevo da sempre ma in questi ultimi due mesi, in cui ho girato tutte le città con la mostra Lazio Meravigliosa, mi sono accorto quanto sia forte il ricordo di quello scudetto. Babbo (lo chiama sempre così, alla toscana, ndr) è stato bravo non solo come allenatore nei cinque anni in biancoceleste ma anche come uomo, seminando il suo ricordo per i cinquant’anni successivi e chissà per quanti altri ancora.

Ha creato un sogno e lo ha trasformato in realtà e poi in un mito. In giro mi abbracciano e mi dicono: per noi vale come se tu fossi Tommaso. A volte mi domando come sia stato possibile e oggi ho una risposta che non deve essere riduttiva: le morti di tutti quei giocatori, oltre a quella di mio babbo, e le altre disgrazie hanno spinto la Lazio nella memoria di tutti. Qual è oggi il gol più importante della storia biancoceleste? Ve lo dico io: quello di Fiorini, che ci portò agli spareggi, perché anche lui non c’è più. Quella Lazio si riconosce nella tomba Maestrelli, dove ci sono anche Wilson e Chinaglia, come il Torino si identifica con Superga».

Pochi giorni fa Massimo è stato proprio a Prima Porta, davanti all’immagine di suo papà, a cui avrebbe voluto raccontare come oggi ricordano lo scudetto del ’74. «Ho trovato accanto alla tomba un ragazzo di 35 anni, mi ha fermato e mi ha detto che la storia della nostra famiglia e di quella Lazio lo ha coinvolto a tal punto che ha voluto tatuarsela sul corpo. Si è abbassato un calzino e sul polpaccio aveva il volto di mio babbo. Si trattava di un giovane dei tempi moderni, poteva innamorarsi dello scudetto del 2000 e invece sul corpo si è dipinto una persona che non ha nemmeno visto e conosciuto».

 Tommaso Maestrelli è morto da laziale, devastato dalla malattia. «Dopo lo scudetto del ’74 venne chiamato a Torino, dalla Juve, andò a pranzo con Agnelli ma gli disse di no, che non avrebbe mai potuto abbandonare la barca biancoceleste, tra l’altro finita in cattive acque. Se la Lazio non avesse avuto problemi, forse avrebbe accettato di guidare la Nazionale dopo Valcareggi e i Mondiali del ’74, quelli del famoso gestaccio di Chinaglia. Già, Giorgione, lui come un figlio nella nostra casa dopo le perplessità su un rapporto che non era decollato. Ma come, prendiamo un allenatore retrocesso? Allora potevamo tenere Lorenzo, tuonava Chinaglia che un giorno disse a babbo che non avrebbe giocato perché aveva l’influenza. Negli spogliatoi, davanti a lui, sbucciò un limone e gli disse: mangialo, tutto intero, e vai a giocare. La Lazio riuscì a vincere, Giorgio segnò una doppietta e si innamorò del suo allenatore. Tanto era animale in campo, tanto era dolce nella vita».

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