Europee, lo strano viaggio della (ex?) candidata Ursula: niente vertice con Meloni

Europee, lo strano viaggio della (ex?) candidata Ursula: niente vertice con Meloni
di Francesco Malfetano
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Martedì 14 Maggio 2024, 06:32

Contestata dagli studenti per Gaza, rinnegata da una parte di Forza Italia e senza un appuntamento per incontrare “l’amica” Giorgia Meloni. La due giorni italiana con cui la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen aveva in mente di rilanciare il riflesso tricolore della sua immagine da spitzenkandidat del Ppe - dopo una comparsata sul canale 9 a “Che tempo che fa” domenica sera - ha finito ieri con l’assumere le sembianze di un boomerang clamoroso.

Se a compensare l’uscita dell’ex capogruppo di FI e vicepresidente del Senato Licia Ronzulli («Ormai è un cavallo zoppo», avallata anche dal vicepresidente della Camera Giorgio Mulé) si è prodigato solo in parte ieri Antonio Tajani, occupato a fare da gran maestro della kermesse di apertura dell’euro-campagna elettorale azzurra tenuta nel pomeriggio all’Eur, a rattoppare l’evidente clandestinità del rapporto di Ursula con Giorgia Meloni ci ha provato lei stessa. «La presidente non ha l’obbligo di incontrare, ogni volta che si reca in un Paese, anche le autorità di quel Paese» il messaggio fatto trapelare dallo staff della politica tedesca alla ricerca del bis a Bruxelles. «Una questione di agenda» insomma, spiegano nel tentativo di ridimensionare la faccenda, ricordando che il viaggio in Italia sia «elettorale», costruito attorno all’intervista tv, ad un pranzo con Tajani e agli incontri con i giovani di FI alla Fondazione De Gasperi (dove è stata poi contestata da alcuni studenti) e con i vertici delle due principali organizzazioni agricole italiane: Confagricoltura e Coldiretti. Tappe di un tour da cui non è solo alla fine fuoriuscita la partecipazione all’evento di FI al Salone delle Fontane ma - appunto - pure uno scambio di saluti con la premier. Nulla di strano si direbbe, se solo la candidata popolare non fosse nel mezzo del fuoco incrociato. Da una parte il Pse, indispensabile già in questa legislatura per portarla a Rue de Berlaymont, continua a dirsi indisponibile ad un accordo con l’estrema destra (inclusi i conservatori meloniani), dall’altra Meloni, con cui i rapporti sono ottimi dopo il sostegno al “modello Tunisia” nei rapporti con l’Africa, costretta a tenere coperto questo feeling. Tant’è che ancora ieri, senza cadere nella provocazione del front-runner socialista Scmidt che ha posto il veto sull’ultra-destra, ha aggirato ogni presa di posizione netta. «Lavorerò con tutti coloro che sono chiaramente impegnati a favore dello Stato di diritto, dell’Unione europea e dell’Ucraina».

D’altro canto a guardarla con gli occhi della premier (ieri impegnata a palazzo Chigi nell’incontro con il primo ministro ceco ed esponente conservatore Petr Fiala) si scrive Ursula e si legge Elly.

Sostenere il bis della politica tedesca porterà necessariamente ad un’alleanza con i socialisti europei e, quindi, con il Pd di Schlein. Difficile da far digerire ai suoi. Impossibile evitare che si trasformi in un tema-pungolo da parte di chi, come la Lega, strizza l’occhio agli elettori di destra più radicali.

Una situazione quanto meno complicata che, per forza di cose tanto per Meloni quanto per von der Leyen, si traduce in uno stallo delle alleanze, in attesa che arrivi il verdetto delle urne. Fino ad allora la premier, che ieri si è ben guardata di intervenire sulla polemica, non si muoverà di mezzo passo. «I giochi si vanno con numeri certi» garantisce infatti uno degli strateghi più fedeli a Meloni. Difficile del resto far conciliare le dichiarazioni rese al Giornale della sorella della premier, Arianna, e responsabile della segreteria politica di FdI, con un bis di Ursula: «Le imminenti elezioni sono una straordinaria occasione per cambiare l'assetto politico europeo».

LA KERMESSE
Un difficile equilibrismo in cui è finita coinvolta anche Fi. Tajani infatti, alla vigilia «della prima sfida senza Berlusconi», oltre a navigare nel difficile mare delle incomprensioni tra alleati di governo («Né patrimoniale, né sugar tax» dice), si ritrova a guidare un partito che mostra qualche crepa proprio attorno al nome di Ursula. «La presenza di von der Leyen non era prevista, con Ursula le cose vanno sempre bene» ha scandito dal palco romano, senza però blindare la candidatura. «Il congresso del Ppe ha votato» ha detto «ma siccome il trattato non prevede al momento che sia eletto dai cittadini direttamente il presidente della Commissione europea dovrà essere proposto dal Consiglio, cioè dai capi di Stato e di governo, al Parlamento». In altri termini, le cose possono cambiare. La certezza, per il vicepremier, è che l’obiettivo resta quello di centrare «ora il 10% e poi, alle Politiche, il 20». Con o senza Ursula, ma sicuro accanto a Giorgia. «Siamo lealissimi» ha concluso rivolgendosi all’ala più recalcitrante del partito, «non faremo sgambetti».

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