Assedio alla Sapienza, collettivi e antagonisti: chi muove la protesta. Slogan contro il governo, la politica e Israele

«L’ateneo siamo noi», urlano. Ma quando dei militanti rovesciano i cassonetti, alcuni manifestanti si allontanano dal corteo

Assedio alla Sapienza, collettivi e antagonisti: chi muove la protesta. Slogan contro il governo, la politica e Israele
di Chiara Adinolfi
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 15 Maggio 2024, 00:31 - Ultimo aggiornamento: 14:46

Si coprono il capo con la kefiah, simbolo della solidarietà verso il popolo palestinese. Qualcuno indossa cappelli o sciarpe nere per evitare di essere identificato. Ma la maggior parte degli studenti e delle studentesse pro Gaza, cammina a volto scoperto per le strade della città universitaria. Sono in 300, a chiedere lo stop agli accordi con le università israeliane e un incontro con la rettrice Antonella Polimeni. Ad animare il corteo, il Coordinamento dei collettivi della Sapienza, l’ Organizzazione giovanile Comunista Cambiare Rotta, il collettivo Zaum e il Movimento degli studenti palestinesi in Italia.

«La Sapienza siamo noi», urla Gaia al megafono.

Studia filosofia e fa parte del collettivo della sua facoltà. «Siamo stanchi dell’indifferenza, del muro di gomma che ci troviamo davanti. Pretendiamo un confronto. Non chiediamo niente di assurdo o estremo. Chiediamo solamente alla nostra governance di prendere una posizione chiara sulla guerra in corso». Gaia si dice soddisfatta solo in parte della partecipazione studentesca. «Gli studenti ci sono, ma potevamo essere ancora di più». E sugli infiltrati, ammette che «qualche compagno c’è, persone che seguono la causa palestinese da anni e si sono unite agli studenti. Ma di sicuro non vengono qui ad alimentare gli scontri».

Corteo di studenti pro Palestina alla Sapienza, petardo e lancio di uova contro il Rettorato

ALTRI PROTAGONISTI

Ci sono anche loro, tra i manifestanti filo palestinesi. Sono attivisti dei centri sociali, alcuni vicini agli anarchici, un giovane di Ultima Generazione. E poi c’è un piccolo gruppo di ragazzi che si copre il volto come può, con magliette scure e sciarpe. Trincerati dietro una barriera di ombrelli aperti, sono loro a scaraventare a terra i cassonetti e lanciare i petardi. Ma, a detta degli stessi manifestanti, non si tratta di infiltrati. «Siamo noi studenti ad essere arrabbiati, siamo noi a lanciare la vernice, perché non ne possiamo più. Mentre qui scoppiano i petardi, a Gaza cadono le vere bombe».

GLI STUDENTI

Quando alcuni manifestanti rovesciano a terra un cassonetto, Giulia e Maria Chiara si defilano dal corteo. «Si poteva anche evitare. Adesso qualcuno dovrà venire a sistemare, e questo non c’entra nulla con il messaggio che vogliamo portare avanti». Studiano scienze politiche e si dicono solidali alla causa palestinese, anche se non hanno dormito in tenda. Sono spaventate dalla violenza, «quando capiamo che c’è il rischio di scontri, ci allontaniamo, ma chi fa questi gesti è solo l’1%, qui siamo quasi tutti studenti». Come Roxana e Anastasia, 21 anni, studentesse di lingue. Non fanno parte dei collettivi, ma sono venute ad ascoltare. Se in capo al corteo si riconoscono sempre i soliti volti, quelli dei Collettivi, dietro, defilati, ci sono anche i loro. «Questo movimento è una cosa più ampia, ha messo insieme persone diverse, di Paesi diversi, dagli Stati Uniti all’Europa. Ed è bello sapere che anche dall’altra parte del mondo si stanno mobilitando per la stessa causa». Anche loro si dicono in disaccordo con le azioni violente e con la presenza di personalità esterne all’ateneo. «Ci saranno anche loro, ma ci siamo soprattutto noi». Giacomo studia chimica, anche lui non condivide le azioni dei manifestanti più violenti, «ma sono la minoranza», dice. Una minoranza che però rischia di far allontanare dalla mobilitazione anche gli studenti più pacifici. Per una delle organizzatrici, «questo rischio c’è, è vero. Ma la nostra protesta non si fermerà».

© RIPRODUZIONE RISERVATA