Uccise due suoi ex dipendenti, imprenditore di Fermo si toglie la vita in carcere

Uccise due suoi ex dipendenti, imprenditore di Fermo si toglie la vita in carcere
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Lunedì 20 Ottobre 2014, 08:56 - Ultimo aggiornamento: 21 Ottobre, 11:46

Si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella del carcere di Ascoli Piceno Gianluca Ciferri, l'imprenditore edile di Fermo, che il 15 settembre scorso, aveva ucciso a colpi di pistola due suoi ex operai kosovari, che erano andati a chiedergli stipendi arretrati.

La notizia è stata confermata dal legale dell'uomo, Savino Piattoni: «Sono stupito e costernato per l'accaduto. L'avevo visto giovedì scorso in carcere ma nulla avrebbe fatto pensare a un simile epilogo».

Stando a quanto si è appreso dal carcere, Ciferri si è impiccato alla grata della finestra del bagno con una corda formata da lenzuola e federe.

L'imprenditore non era solo in cella, ma i compagni lo hanno trovato già morto: erano circa le 5 di notte.

La Procura di Ascoli ha aperto un fascicolo con la dicitura "atti relativi" e ha disposto l'autopsia sul corpo dell'imprenditore.

Ha lasciato una lettera in una busta chiusa senza indirizzo, con ogni probabilità scritta nella notte. La lettera è stata consegnata al magistrato e verrà aperta in giornata. Nei giorni scorsi l'imprenditore aveva scritto altre lettere alla famiglia. L'imprenditore, dopo un primo periodo di sorveglianza particolare volto ad evitare eventuali atti autolesionisti, ora era sottoposto ai normali controlli in quanto integrato nella vita carceraria. Aveva anche ricevuto diverse visite da parte dei familiari.

La famiglia è distrutta. «Siamo nella più completa disperazione, il dolore è immenso, abbiamo saputo la notizia dalla televisione, altro non sappiamo. Rispettate il nostro dolore» dice la cognata con un filo di voce.

La comunità albanese. «Le famiglie di Mustafa Nexhmedin e Avdyli Valdet, e tutta la comunità albanese, esprimono il loro cordoglio alla famiglia di Gianluca Ciferri, anche se dalla sua famiglia non sono mai arrivate condoglianze ai familiari delle vittime dell'imprenditore» dice Mucaj Granit, portavoce della comunità albanese nel Fermano, composta di circa 4mila persone. «Quanto è successo ci addolora - afferma commentando il suicidio in cella di Ciferri - Volevamo solo che venisse fatta giustizia dalle istituzioni italiane, ma la morte di Ciferri lo impedirà».

Gianluca Ciferri era accusato del duplice omicidio a colpi di pistola di Mustafa Nexhmedin, 38 anni, e Avdyli Valdet, 26, carpentieri immigrati dal Kosovo. Il 21 settembre scorso il Gip aveva convalidato l'arresto e il provvedimento di custodia cautelare in carcere, dopo uno lungo interrogatorio in cui Ciferri aveva ribadito la sua versione dei fatti: «Mi sono difeso da un'aggressione. I due operai erano armati di una piccozza, ho avuto paura e ho sparato».

Gli operai vantavano circa 15 mila euro di stipendi arretrati, più volte richiesti all'imprenditore, anche attraverso un contenzioso curato dal sindacato di categoria della Uil. Nexhmedin aveva moglie e quattro figli piccoli, Valdet un figlio e un altro in arrivo: «Non sapevano più come sfamarli» diceva il fratello di Mustafa.

La sparatoria era avvenuta il 15 settembre scorso, davanti alla villetta di Molini Girola di Fermo dove Ciferri viveva e aveva l'azienda. Appassionato di armi, l'uomo ne deteneva 41, tra fucili e pistole fra la villa e un'altra abitazione. Era appassionato di armi e di tiro a volo.

La pistola la teneva nel garage, e aveva detto di essere corso a prenderla quando si era visto minacciato: Nexhmedin, ha stabilito l'autopsia, è stato raggiunto da tre proiettili, uno alla testa, uno al torace e uno alla mano, Avdyli da due colpi. Il ventiseienne era stato ritrovato agonizzante in un campo di girasoli a 150 metri dal luogo della sparatoria, ed era morto poco dopo. Ciferri lascia una compagna e tre figli, uno appena dicottenne.

Il sindacato. «La morte di un detenuto intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria che svolgono quotidianamente il servizio con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato. Nulla poteva far immaginare cosa avesse intenzione di fare il detenuto che si è ucciso stanotte ad Ascoli Piceno. Certo, un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato», dice Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia.

Nei primi sei mesi dell'anno, ricorda Capece, nelle carceri italiane si sono registrati 20 suicidi, l'ultimo, prima di quello di oggi, il 12 ottobre scorso nel carcere di Como. «Altro che emergenza superata, come ci affretta a liquidare la questione sovraffollamento: i drammi e le tensioni in carcere restano, eccome». Nelle Marche dal primo gennaio al 30 giugno si sono contati il suicidio di un detenuto ad Ancona, 149 atti di autolesionismo, 15 tentati suicidi, 53 colluttazioni e 4 ferimenti» aggiunge Capece.

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