Lagioia: «Viviamo un presente di Ferocia»

Lagioia: «Viviamo un presente di Ferocia»
di Leonardo Jattarelli
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Venerdì 3 Luglio 2015, 20:54 - Ultimo aggiornamento: 11 Luglio, 12:48
La Clara Salvemini del romanzo del quarantatreenne Nicola Lagioia, La ferocia (edito da Einaudi) fresco di vittoria del Premio Strega, in qualche modo incarna i disastri di un’esistenza che non ha più splendori; lei, appartenente ad una influente famiglia di costruttori pugliesi, è l’effige di un decadimento senza ritorno. La provincia fa da cornice.

Lagioia, perché proprio la scelta della provincia?

«Perché in provincia ci sono nato. E se pensiamo all’Italia, beh credo non si possa fare una letteratura che non sia di provincia. Da noi le città non rimandano ad un’idea di metropoli come Londra, Parigi, New York. Roma è un paesone e vale anche per Napoli ecc. L’importante è non cadere nel provincialismo cioè nel folklore. La storia letteraria ha profonde radici nella provincia: penso alla Sicilia di Pirandello e Sciascia, ai romanzi di Garcia Marquez, a quelli di Philip Roth. Le ultime vere città rimaste sono diventati luoghi esclusivi, per ricchi, dove è difficile condividere esperienze».



Per il suo “La ferocia” lei ha anche parlato di un ritorno allo stato di natura. Cosa intende precisamente?

«E’ la legge della giungla: per gli animali è normale per noi diventa sinonimo di barbarie, cioè il contrario della civiltà. E questo ritorno allo stato di natura ci rende più fragili, più permeabili nei momenti di crisi. Ma nel mio libro c’è anche spazio per la speranza, per il libero arbitrio: se hai la forza, puoi ancora scegliere».



Vale anche per la situazione attuale dell’Italia?

«Mi riesce difficile parlare oggi di Italia senza parlare di Europa. E il drammatico braccio di ferro di questi giorni tra la Grecia e Berlino è quasi un manifesto dello stato delle cose. La Merkel ha affermato “Non esiste Unione Europea senza euro”. Ecco, io credo si debba pensare esattamente al contrario; noi non siamo una moneta, dunque “non esiste euro senza Unione Europea”, non so se mi spiego. Siamo schiavi di questo ricatto. Anche l’economia finanziaria è violenta. La ferocia del titolo del libro ha questo significato vasto».



Parliamo della forma del suo romanzo: c’è il thriller, il gotico, e la forte presenza del legame familiare...

«In qualche modo mi appartengono tutti: amo il romanzo familiare, dai Buddenbrook di Thomas Mann ai Vicerè di De Roberto così come le storie di amore e di fantasmi che mi arrivano da Emily Brontë e sono debitore anche nei confronti di Faulkner.

Questi sono i maestri che ho cercato scrivendo».



Torniamo allo Strega e al gran parlare che si fa in questi giorni sulla possibile fusione tra Mondadori e Rizzoli. Cosa ne pensa?

«Non ho gli strumenti tecnici per dare un parere. Per me prima di tutto è importante che non ci siano posti di lavoro a rischio».



Ma se si creasse il megagruppo non sarebbe la fine anche dei premi letterari?

«Si tratta di responsabilità. Ogni comitato di un Premio dovrà rendersi indipendente l’uno dall’altro. Del resto anche negli altri Paesi esistono queste concentrazioni editoriali».



Lei gareggiava quest’anno con un marchio pesante come quello di Einaudi...

«Quest’anno è accaduta una cosa particolare. Sei mesi fa il mio nome per la vittoria non lo faceva nessuno, neanche la Einaudi. Poi i “lettori forti” dello Strega hanno votato per La ferocia ed è stata una sorpresa. Prima che si aprissero le danze, non ero tra i favoriti, l’obiettivo era arrivare alla cinquina. Penso a Francesco Piccolo che ha palesato il suo voto per la Ferrante. Ecco, è un fatto di indipendenza. A me, che faccio parte degli Amici della Domenica, ogni anno arrivano telefonate diciamo di sostegno, ma basta non essere pavidi e votare chi si vuole. Nessuno ti dice niente».



Rendere palese il voto potrebbe essere un’idea?

«Per me non sarebbe un problema».
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