Troisi ti presento Benigni: dopo 30 anni torna in sala “Non ci resta che piangere”

Troisi ti presento Benigni: dopo 30 anni torna in sala “Non ci resta che piangere”
di Francesco Alò
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Domenica 22 Febbraio 2015, 22:41 - Ultimo aggiornamento: 2 Marzo, 14:34
Correva l’anno 1984, quasi 1985. Il 21 dicembre uscì Non ci resta che piangere e l'Italia non fu più la stessa. «Sono stato testimone dell'incontro dei più grandi talenti di quella generazione chiamata dei nuovi comici» ricordava il compianto coautore della sceneggiatura Giuseppe Bertolucci: «Due arti opposte: la parola per Roberto e l'afonia per Massimo. Identica la provenienza di entrambi: il sottoproletariato».



Dopo l'esplosione in tv con Arbore e il successo di nicchia Berlinguer ti voglio bene, Benigni aveva diretto un solo film (Tu mi turbi). Troisi era più nazionalpopolare con due successi clamorosi al botteghino (Ricomincio da tre, Scusate il ritardo) e un seguito di pubblico forse superiore rispetto al più scorbutico talento toscano. In barba a possibili rivalità o gelosie, i due decisero di unire i talenti. Il resto è Storia, anzi un viaggio esilarante nella Storia. Un anno prima dell’epocale Ritorno al futuro, infatti, il cinema italiano giocava già con il paradosso cronologico.



C'erano una volta un dolce bidello (Troisi) e un pedante maestro delle elementari (Benigni), catapultati per via di una tempesta dal 1984 all'Italia del tardo Quattrocento («Quasi Cinquecento» come recita uno dei tanti tormentoni). Il copione, scritto alla brava e consegnato in folle ritardo, vide esordire una splendente Amanda Sandrelli fresca di maturità liceale. Lei, così giovane e timida, fu vittima di uno scherzo terrificante. Il sodale di Benigni, lo sboccatissimo Carlo Monni (scomparso nel 2013), nel film il rude Vitellozzo, scandalizzò la figlia di Stefania Sandrelli quando, indotto con l'inganno dai due registi a descrivere le sue fantasie erotiche nei confronti di mamma Stefania, si lanciò in un resoconto di rara sconcezza ignaro che Amanda fosse arrivata proprio in quel momento sul set.



La pellicola fu girata a Cinecittà dove venne ricostruito dal grande Francesco Frigeri l'immaginario villaggio di Frittole. Altri pezzi da novanta nel cast tecnico: Rotunno alla fotografia, Baragli al montaggio e Desideri come arredatore. Il titolo venne da una poesia di Petrarca suggerita da Benigni a Troisi. Quando i due finirono le riprese, Non ci resta che piangere sfiorava le quattro ore e mezza (lo ricorda con orrore il produttore Vittorio Cecchi Gori).



Tante le scene e battute entrate nell'immaginario collettivo di un Paese che premiò il film con 15 miliardi di lire di incasso incoronandolo campione della stagione '84-'85. L'apice del gioco di squadra si concretizzò nel celeberrimo omaggio alla lettera di Totò, Peppino... e la malafemmina che Troisi temeva assai. È il momento in cui Mario e Saverio scrivono al frate domenicano per liberare l'amico Vitellozzo dalla prigione. «Massimo non voleva fare quella scena. La improvvisammo solo perché avevamo pellicola da impressionare» ricorda Benigni. Ma tutta quella sequenza è circondata da un alone di leggenda.



Si narra che durante l'improvvisazione si radunarono da tutta Cinecittà almeno 500 persone per assistere dal vivo al duetto jazz di due geni dell'arte comica. Ma come non ricordare anche Troisi che corteggia la Sandrelli millantando di aver scritto Yesterday dei Beatles e l'inno di Mameli, o il paziente Leonardo da Vinci di Paolo Bonacelli e l'amazzone misteriosa di Iris Peynado, tagliata nella scena d'amore con Troisi dalla versione più nota da 107 minuti nonostante ne esista anche una da 145? E soprattutto: perché stiamo ricordando un film del 1984?



La risposta è semplice: dal 2 al 4 marzo questo capolavoro del cinema italiano tornerà in sala in una versione restaurata e rimasterizzata grazie a Benigni, Mediaset, Film & Video e Lucky Red. E a noi non resterà che ridere. Ancora una volta. Con un pensiero a Troisi, scomparso prematuramente solo dieci anni dopo quell'indimenticabile 1984. Quasi 1985.
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