Per 10 anni quasi la metà dei femminicidi è avvenuto al Nord. Dal 2013 c'è invece stata un'inversione di tendenza sul piano territoriale ed il Sud è diventata l'area a più alto rischio con 75 vittime ed una crescita del 27,1% sull'anno precedente. Al Centro sono raddoppiati, da 22 a 44. Il Nord, dove lo scorso anno sono morte ammazzate 60 donne, rimane il territorio dove si verificano più omicidi in famiglia, 8 su 10. La maglia nera spetta al Lazio e alla Campania, con 20 vittime ciascuno; solo a Roma sono state 11. Ma è l'Umbria a registrare l'indice più alto di mortalità (12,9 femminicidi per milione di donne residenti). Ottantuno donne, il 66,4% delle vittime dei femminicidi in ambito familiare, ha trovato la morte per mano del coniuge, del partner o dell'ex partner. Dal 2000 sono 333 le donne ammazzate perchè «colpevoli di decidere», come le definisce il dossier.
Ma il segnale nuovo emerso lo scorso anno, «anche per effetto del perdurare della crisi», è il forte aumento dei matricidi, spesso compiuti per ragioni di denaro o per una esasperazione dei rapporti derivanti da convivenze imposte dalla necessità: sono infatti 23 le madri uccise nell'ultimo anno, pari al 18,9% dei femminicidi familiari, a fronte del 15,2% rilevato nel 2012 e del 12,7% censito nell'intero periodo 2000-2013 (215 matricidi). Per le percosse, per strangolamento o per soffocamento: così nel 2013 sono morte 51 donne, quasi una vittima di femminicidio su tre.
E tale modalità di esecuzione, secondo l'Eures, è segno di «più alto grado di violenza e rancore».
Quasi altrettanti sono stati i femminicidi con armi da fuoco (49 vittime) e con armi da taglio (45), cui seguono quelli compiuti con armi improprie (21).
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