REATO IN CONTINUAZIONE
Lo scorso 20 gennaio la Corte d’Appello ha confermato per il ghanese la condanna a vent’anni di carcere più tre anni di casa di cura e custodia per gli omicidi di Daniele Carella, 21 anni, di Alessandro Carolé (40 anni) ed Ermanno Masini, 64 anni. Quando la sentenza diventerà definitiva i suoi difensori, gli avvocati Benedetto Ciccarone e Francesca Colasuonno, chiederanno l’applicazione della continuazione in fase di esecuzione delle due condanne.
In tal caso sarà disposta un’unica condanna a un massimo di vent’anni anni di carcere più tre di misura sicurezza in virtù dello sconto di pena previsto dal rito scelto e dello sconto dell’attenuante prevista dalla seminfermità di mente riconosciuta all’imputato, che di fatto comportano una somma non algebrica delle due pene comminate secondo quanto prevede il codice di procedura penale.
KABOBO CONSAPEVOLE
I periti Isabella Merzagora e Ambrogio Pennati hanno diagnosticato a Kabobo un ”disturbo mentale di natura psicotica, grave, potenzialmente rilevante ai fini dell’imputabilità”, ma hanno stabilito anche che ”la malattia non ha agito al suo posto” e che ”Kabobo al momento dei fatti, presentava una grandemente scemata, ma non totalmente assente, capacità d’intendere, definita come l’idoneità del soggetto a rendersi conto del valore sociale delle proprie azioni e quindi di percepirne il significato”.
L’uomo mostrava inoltre ”una sufficientemente conservata capacità di volere, definita come attitudine dell’individuo ad autodeterminarsi, e quindi orientare gli atti compiuti in modo finalistico rispetto al significato percepito». Il ghanese ha raccontato agli inquirenti di aver agito perché ”delle voci” lo obbligavano, tuttavia nelle motivazioni della sentenza i giudici d’Appello hanno rimarcato ”una determinazione a uccidere che alberga nel sentimento di rancore che lo assediava e non nel soggiacere alle voci”.
Insomma, quelle parole che rimbombavano nella testa dell’uomo ”non impongono, non comandano, non stabiliscono che Kabobo debba aggredire e uccidere, ma si limitano a suggerire una determinata condotta». Secondo la corte, anche ”l’analisi criminogenetica e criminodinamica degli omicidi” in primo grado «aveva fatto emergere che, come affermato anche da Kabobo, l’imputato aveva espresso la sua rabbia verso un mondo che non lo accoglieva e non gli prestava aiuto”. Insomma, l’aggressore ”agì per essere catturato, così ponendo fine alle sofferenze dovute all’insoddisfazione dei bisogni primari (cibo, sonno, protezione)”.
Tra l’altro, scrivono i giudici, l’uccisione di tre passanti a colpi di piccone ha provocato ”comprensibile intenso allarme nella cittadinanza con conseguente danno per l’amministrazione comunale”: a Palazzo Marino, costituitosi parte civile, è stato concesso il risarcimento del danno dovuto anche ”all’azzeramento degli effetti auspicati in conseguenza della costosa attività di promozione dell’immagine della città anche all’estero” in vista di Expo 2015. Sia sotto il profilo ”della verificata inefficienza dell’attività di lotta alla violenza predisposta dal Comune a tutela degli abitanti della zona, teatro dei plurimi omicidi”.
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