Gli ultimi minuti di vita dei 238 passeggeri sull'aereo della Malaysia Airlines, immensa bara di metallo in volo sull'oceano Indiano

Gli ultimi minuti di vita dei 238 passeggeri sull'aereo della Malaysia Airlines, immensa bara di metallo
di Paolo Ricci Bitti
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Domenica 8 Marzo 2015, 17:16 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 07:32

​Le urla, attutite, attraverso la porta blindata. Poi i pugni disperati, sempre su quella porta, del secondo pilota del volo Mh 370 e delle hostess, i primi a capire che stavano per morire nel modo più terribile, soffocati poco a poco guardandosi negli occhi l’un l’altro. Infine il silenzio. Assoluto. Nella notte solo il sibilo dei motori a velocità di crociera. Chissà se in quel momento Zaharie Ahmad Shah ha lasciato per un attimo i comandi del Boing 777 della Malaysia Airlines, si è girato e ha guardato attraverso lo spioncino “fish eye” l’immensa bara con i 238 poveri cristi che aveva appena ucciso.

Probabile di no, era troppo impegnato a portare a termine il suo follemente lucido piano di volo facendo zig zag tra le frontiere per ingannare le torri di controllo, sfiorando a lungo la natìa isola di Panang - un tocco di nostalgia non poteva mancare - e infine facendo rotta sull’oceano Indiano.



Sì, sono tutte ipotesi quelle che raccontano la scomparsa del volo Mh370 della Malaysia Airlines, ma quella letteralmente meno campata in aria disegna una sceneggiatura mai immaginata finora. Per oltre quattre ore quel bimotore ha volato con un carico di morte terrificante prima che il pilota lo facesse ammarare tra le onde, intatto.



Poco dopo l’una di notte di un anno fa Zaharie Ahmad Shah, 53 anni, fa uscire con una scusa il secondo pilota dalla cabina. Si chiude dentro e depressurizza la carlinga. Dagli alloggiamenti dei bagagli escono le maschere gialle con il tubicino trasparente. Quante volte, annoiati, lo abbiamo visto fare dalle hostess o nei film? L’equipaggio è preso in contropiede: il secondo pilota tenta di aprire la porta della cabina, ma sa bene che sarà impossibile. Quella porta è costruita per resistere ai terroristi. Le hostess aiutano i passeggeri più anziani, i bambini. Cercano di non trasmettere paura, ma conoscono la breve autonomia del sistema di emergenza: venti minuti o poco più. Poi se l’aereo non scende sotto i 4.500 metri i passeggeri più deboli inizieranno a morire. Poi tocchera a tutti.



Qualcuno, tra il personale di bordo e i passeggeri, cerca di accendere i telefonini, ma ormai il Boeing è lontano da ogni copertura. Se abbiamo voglia di avere pietà, possiamo pensare che la maggior parte dei passeggeri sia morta senza capire che cosa stesse accadendo, così, con la testa appoggiata sulla spalla del vicino. In realtà in molti, se non tutti, prima o poi sono finiti in preda al panico mentre il sistema di emergenza erogava le ultime riserve di ossigeno.



Trenta minuti, a dir molto, e poi quella carlinga è diventata una gigantesca e mai vista camera funebre in volo livellato a 9mila d’altezza. Silenzio. Fuori il buio della notte e dentro il velivolo solo le fioche lucine di emergenza: 238 morti e davanti a loro Zaharie Ahmad Shah che consulta gli strumenti, controlla la rotta che conoscono solo lui e la sua pazzia.



Punta la prua verso la zona che il pilota Ewan Wilson e il giornalista Geoff Taylor credono di aver individuato con relativa approssimazione e poi, per oltre quattro ore, guida quell’immensa bara metallica fino a compiere, con i serbatoi ormai vuoti, una manovra da manuale forse provata mille volte al simulatore che si era assemblato in casa. Ammara con il Boeing: un’operazione difficile, ma non impossibile. Esistono, almeno di questo, precedenti. Per quanto pesante, l’aereo per un po’ galleggia, poi, picchiando con i muso o scivolando d’ala secondo il moto delle onde, si inabissa.



Ma perché il pilota che aveva deciso di suicidarsi non ha abbreviato i tempi dell’agonia puntando direttamente la prua sul mare? Forse per dare una morte più dolce ai passeggeri.

Sicuramente per non mandare il velivolo in pezzi che prima o poi sarebbero stati trovati anche a migliaia di miglia di distanza. Le onde qualcosa restituiscono, sempre. No, invece il Boeing 777 è intero, in fondo al mare, con il suo carico di morte e di follia, e chissà se sarà mai possibile ritrovarlo.

Paolo Ricci Bitti

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