Crisi morale e civile, il rilancio deve venire dalle élite

di Andrea Monorchio e Luigi Tivelli
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Domenica 23 Novembre 2014, 22:55 - Ultimo aggiornamento: 24 Novembre, 00:28
L’ultimo ventennio ha segnato per l’Italia, dal punto di vista dell’andamento dell’economia, una sorta di brutte époque, visto che abbiamo avuto sostanzialmente la crescita più bassa tra i Paesi Ocse.

Gli ultimi sette anni, poi, a partire dalla crisi internazionale innescatasi nel 2007, ci consegnano un Paese non solo col Pil abbattuto, ma stanco e depresso, sin nel tessuto delle relazioni sociali e civili (non solo per le recenti tensioni sull’ordine pubblico) e nella tenuta morale (bastino i dati sulla corruzione reale e percepita). Un Paese in piena crisi di fiducia verso le sue classi dirigenti, sempre meno credibili agli occhi dei cittadini. Basti annotare che il recente sondaggio Svg Lab ha evidenziato che, tra le classi dirigenti, solo i medici ottengono una risicata sufficienza (6,0) a fronte di un 4,0 dei parlamentari, di un 4,4 dei politici comunali, di un 4,3 dei vertici delle banche, di un 4,6 dei dirigenti sindacali, di un 5,1 degli imprenditori e manager, di un 5,2 dei magistrati. Perfino i parroci, con 5,7, non arrivano alla sufficienza. Si tratta di un grave e preciso segnale di allarme da parte dei cittadini, che gli appartenenti all’élite non sembrano proprio cogliere: un fenomeno che ha creato uno scollamento forte in seno alla società italiana, ancora più avvertito, in una fase in cui le politiche pubbliche tendono a saltare il ruolo dei corpi intermedi (partiti, sindacati, associazioni di categoria, forze sociali, ecc), è c’è un diffuso ritorno a forme di individualismo egoista, oppure l’abbandono dei cittadini a loro stessi.



Eppure, senza una legittimazione, un riconoscimento diffuso del ruolo delle classi dirigenti, un Paese non può reggere a lungo. Peccato però che le classi politiche si raccordino in partiti sempre più personali, inconsapevolmente “liquidi” e senza vera partecipazione interna, in presenza a tutt’oggi di un sistema elettorale che non attribuisce alcun potere di scelta dei rappresentanti da parte dei cittadini.

Quanto alle classi burocratiche, versano nel guado fangoso tra il modello costituzionale dell’imparzialità dell’amministrazione e un modello di spoil system all’italiana che ne ha debilitato il ruolo e la professionalità, preponendo ai vertici amministrativi gli “amici” dei ministri, dei sottosegretari, dei sindaci e degli assessori.



Le classi imprenditoriali invece – con una Confindustria molto volatile – si arrangiano tra imprese familiari di seconda o terza generazione alle prese con obsolescenze tecnologiche e difficili ricambi e grandi imprese ex pubbliche, che non sanno se e come saranno privatizzate. Se non ci fossero quelle circa cinquecento medie imprese capaci di competere sui mercati internazionali, saremmo alla frutta.



Quanto ai ceti intellettuali, per un verso basta vedere la posizione delle nostre università nelle classifiche internazionali, per altro verso ci sembra si sia rafforzata la tendenza a salire sul carro del Principe vincitore in un quadro di scarsa consapevolezza della profondità, della gravità e della qualità e del merito dei problemi del Paese. In sintesi, è come se le nostre classi dirigenti, lungi da comportamenti esemplari, avessero fatto proprio l’aforisma di Oscar Wilde secondo cui «se le classi inferiori non ci danno il buon esempio, che cosa ci sono a fare?». In un quadro in cui quelli che, come Galli Della Loggia, o Giuseppe De Rita, offrono squarci realistici sulla crisi della società e sulla inconsistenza delle élite, si contano sulle dita di una mano.



Poiché non abbiamo mai amato il piangersi addosso, o le diagnosi fine a se stesse senza ipotesi di terapie, a questo punto ci sovviene un’idea, frutto del peculiare senso della cittadinanza proprio di chi ha passato molti decenni della sua vita al servizio imparziale delle Istituzioni. Se è vero che la crisi, da economico/sociale, è diventata anche crisi morale e civile, e che sta venendo meno il circuito credibilità-fiducia indispensabile per la vita di ogni Paese, è giunto il momento di porre con forza questa questione al centro del dibattito e del confronto pubblico. Perché allora non pensare a convocare un grande momento di riflessione collettiva, di confronto sulle diagnosi e sulle terapie per spezzare il circolo vizioso in atto? Un confronto che sia idoneo a dimostrare che almeno una parte delle élite è ancora credibile e in grado di generare fiducia.



In fondo, c’è un premier che con grande energia fa di tutto per diffondere messaggi di ottimismo e di fiducia, ma questa non può certo essere opera di un uomo solo. Vogliamo chiamare questo evento Stati Generali per l’Italia? Vogliamo chiamarlo «Alla ricerca di un progetto per l’Italia»? Nomina sunt consequentia rerum. L’importante sarebbe coinvolgere le élite politiche, economiche, imprenditoriali, sociali, intellettuali, in un vero progetto di rilancio del Paese.