Salva Roma, Renzi dà due mesi a Marino
sul piano l'ultima parola a Palazzo Chigi

Salva Roma, Renzi dà due mesi a Marino sul piano l'ultima parola a Palazzo Chigi
di Andrea Bassi
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Domenica 2 Marzo 2014, 09:16 - Ultimo aggiornamento: 3 Marzo, 03:49

L’ultima parola sulle misure di risanamento di Roma la dir Matteo Renzi.

La novità è contenuta nella bozza del decreto approvato venerdì dal consiglio dei ministri e dà la reale misura di quale sia il grado di ”tutela” sotto il quale Matteo Renzi ha intenzione di mettere la giunta capitolina. Il piano di rientro, che dovrà essere messo nero su bianco in soli sessanta giorni dal Campidoglio, dovrà essere «approvato» con un decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, su «proposta» del ministero dell’Interno e di quello dell’Economia, «sentita» l’amministrazione capitolina.

Non si tratta di passaggi formali, ma sostanziali.

Se le misure che saranno contenute nel piano del Campidoglio per rimettere in riga i conti di Roma non saranno convincenti, Palazzo Chigi potrà bocciarle e rimandarle al mittente. Una eventualità che a quel punto spalancherebbe le porte all’arrivo di un commissario. Su questi incisi contenuti nella bozza di decreto che Il Messaggero ha potuto visionare, ci sarebbe in corso un braccio di ferro con il Campidoglio che considererebbe la norma troppo punitiva. Quello che al momento è certo è che nella fase di predisposizione del piano, sarà essenziale il confronto tra Campidoglio e Tesoro, tanto che il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, potrebbe assegnare il compito di seguire la questione, seppur senza una delega specifica, al sottosegretario Giovanni Legnini, che già quando era alla Presidenza del Consiglio aveva seguito da vicino i lavori dei vari decreti Salva Roma e dunque conosce bene la situazione contabile della Capitale.

I PALETTI DEL DECRETO

Per quanto riguarda poi gli altri passaggi, la bozza del decreto conferma sostanzialmente le anticipazioni della vigilia. Il piano triennale di risanamento dovrà necessariamente bloccare le assunzioni nelle società municipalizzate «escluse quelle quotate nei mercati regolamentati», e imporrà norme stringenti per l’acquisto di beni e servizi da parte di queste ultime. Ci dovrà essere anche una ricognizione dei costi unitari della fornitura dei servizi pubblici e, nel caso fossero superiori a quelli medi degli altri comuni italiani, dovranno essere adottate azioni per riportali entro i livelli standard.

Nelle società partecipate, poi, dovrà essere effettuata una ricognizione dei fabbisogni di personale. Non è un mistero che Atac e Ama abbiano più dipendenti del dovuto, frutto anche di assunzioni clientelari. Nel caso in cui emergessero esuberi e la società ha i conti in rosso, allora dovrebbero scattare dei piani di riduzione degli organici «con l’utilizzo degli strumenti legislativi e contrattuali esistenti» e «nel quadro degli accordi con le organizzazioni sindacali». Confermato anche l’avvio della liberalizzazione del trasporto pubblico locale e della raccolta dei rifiuti, così come la messa in liquidazione delle partecipate minori, da Zetema a Risorse per Roma, società esterne che hanno sostanzialmente come unico cliente il Comune di Roma e che di fatto esercitano funzioni svolte anche dal Campidoglio. Dovrà infine partire un nuovo programma di dismissioni immobiliari.

LE RISORSE

A fronte di queste misure il governo con il nuovo Salva Roma garantirà al Comune risorse per 600 milioni di euro, 570 milioni di crediti che saranno trasferiti dalla gestione commissariale al Campidoglio e altri 30 milioni di vecchio debito che invece percorreranno la strada inversa, dal Comune verso il commissario straordinario.

I 570 milioni di crediti derivano da un contributo di 37 milioni annui che lo Stato aveva riconosciuto a Roma per il debito pregresso e che il Comune aveva trasferito alla gestione commissariale. Ora il commissario restituirà al Campidoglio come credito tutte insieme queste somme, in modo di permettere al Comune di pareggiare la spesa corrente con entrate certe.

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