Tra garantisti e giustizialisti: i due partiti Pd

di Stefano Cappellini
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Venerdì 31 Luglio 2015, 23:28 - Ultimo aggiornamento: 1 Agosto, 00:09
Spesso la classe politica italiana, per giustificare la distanza che si è creata tra il Palazzo e i cittadini, si appella a un difetto di comunicazione. Non abbiamo saputo motivare, si dice. Non siamo riusciti a spiegare al Paese, si dichiara. Ma per comunicare bene un concetto, occorre averlo in testa forte e chiaro. Altrimenti il problema non è mediatico, ma tutto politico. Il caso Azzollini è emblematico di questo equivoco e, nel caso specifico, della condotta maldestra e contraddittoria in cui la politica precipita ogni qual volta maneggia questioni che riguardano la giustizia.

Ieri Matteo Renzi è tornato sulla vicenda con una presa di posizione decisa per difendere il voto con cui il Senato ha detto no all’arresto del senatore Ncd: «Il Parlamento – ha detto il presidente del Consiglio - non è il passacarte delle Procure». Comunque la si pensi su Azzollini, l’affermazione di Renzi è in sé del tutto condivisibile, perché rinsalda un cardine democratico da tempo vacillante in Italia, la separazione tra i poteri dello Stato, e rivendica il diritto delle Camere, espressione diretta della sovranità popolare, a esercitare le prerogative che la Costituzione prevede.



Tra queste, la facoltà di decidere sulla richiesta di arresto di un parlamentare. Le parole di Renzi sul caso Azzollini arrivano però alla fine di un percorso nel quale il partito di cui è segretario, e che costituisce il perno della maggioranza grazie alla quale governa, ha detto tutto e il suo contrario. Prima i membri del Pd nella Giunta del Senato hanno detto sì all’arresto di Azzollini, successivamente il gruppo ha cambiato posizione sposando la linea della libertà di coscienza, quindi - dopo che questa posizione ha contribuito al prevalere dei no in Aula - il vicesegretario democratico Debora Serracchiani ha commentato l’esito invocando la necessità di «scuse agli italiani». Infine l’intervento di Renzi, quarto cambio di linea nel giro di un paio di settimane.

Cosa dovrebbe pensare un cittadino di fronte a questo balletto? Non c’è nemmeno l’alibi dello scontro tra correnti: qui a esprimersi agli antipodi sono, tra gli altri, segretario e vicesegretario del Pd. Il minimo è convincersi che il responso su Azzollini sia stato contrattato su tavoli che hanno a che fare con gli equilibri che reggono la coalizione di governo. Il massimo è lasciarsi sedurre dai tribuni – di destra e di sinistra – che agitano le più sfrenate tesi giustizialiste e da anni, in nome della sacrosanta lotta alla corruzione, lavorano per demolire ogni singolo mattone dello Stato di diritto, a cominciare da una concezione della carcerazione preventiva che ne ha totalmente stravolto fini e requisiti. Una demolizione che ormai si esercita anche sul principio di realtà, dato che il no alla custodia cautelare viene automaticamente spacciato come un salvacondotto giudiziario. E il dramma è che molti non barano in questa convinzione, ne sono tragicamente persuasi.

Se Renzi vuole dare seguito concreto alle dichiarazioni di principio, non può lasciare che il partito in tema di giustizia sia ostaggio degli umori di giornata e, in generale, continui a oscillare tra la difesa dello status quo e le tentazioni di collateralismo con pezzi di magistratura. Senza contare che il governo sui dossier di giustizia ha annunciato grandi riforme, ancora ferme: da quanto, solo per fare un esempio, si dà per imminente una legge per disciplinare la pubblicazione di atti giudiziari? Eppure, tra le molte e serie proposte avanzate, ce n’è anche una formulata dai procuratori capo di Roma e Milano: difficile scambiarla per una proposta punitiva per i pm. Non si tratta infatti di aprire alcuna guerra tra politica e toghe, al contrario l’obiettivo dovrebbe essere chiuderlo una volta per tutte, questo annoso conflitto, restituendo ai magistrati tutti gli strumenti adatti a perseguire i reati nel rispetto delle garanzie e al legislatore il diritto di riappropriarsi di una materia da troppi anni espunta dall’agenda di governo o inserita solo per interessi personali e di consorteria.