Il sinodo, le aperture del Papa e la crisi della famiglia

di Lucetta Scaraffia
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Sabato 20 Settembre 2014, 22:32 - Ultimo aggiornamento: 23:58
L’attenzione intorno al sinodo sulla famiglia, che sta per iniziare, è alta. È molto alta nei media di tutto il mondo. Questo eccezionale interesse si spiega con il fatto che la crisi della famiglia, con le conseguenze che trascina, è un grave problema sociale che tocca tutti, e sembra quasi che la Chiesa – con ben due sinodi – si sia assunta la responsabilità di affrontare la situazione in supplenza delle società laiche. Non bisogna stupirsi: la famiglia monogamica, responsabile dell’allevamento e dell’educazione dei figli, in cui ogni persona che la compone deve trovare rispetto e accoglienza, è un modello nato all’interno della tradizione cristiana, che è stato diffuso e radicato dalle riforme di età moderna dai cattolici e dai protestanti.

Ma se l’attenzione si spiega, molto meno si capisce come mai il dibattito – dentro e fuori la Chiesa – sembra essersi attestato solo sull’accoglienza dei divorziati risposati. In questo modo viene ridotta a una battaglia fra progressisti e tradizionalisti un’occasione epocale di confrontarsi con la crisi della società moderna. E viene rinchiuso all’interno di una logica autoreferenziale quello che era nato come un tentativo – chiesto personalmente, e più volte, da papa Francesco – di uscire da questo mondo chiuso e asfittico per guardare in faccia la realtà.

Rinserrarsi in questa sterile polemica non serve solo a misurare gli schieramenti, e magari a dare qualche grattacapo in più a papa Francesco, ma anche a far dimenticare – o almeno a far passare in secondo piano – i risultati dell’indagine svolta su richiesta del sinodo. Risultati che obbligano la Chiesa a confrontarsi con una realtà che non è proprio confortante: in ogni parte del mondo, pare che anche i fedeli abbiano dato prova di un distacco dalla morale cattolica in misura veramente preoccupante. Non parlarne permette agli ecclesiastici di sfuggire alla constatazione di un fallimento quasi totale della pastorale familiare quale è stata praticata negli ultimi decenni.

Se si partisse da qui, cioè dalla realtà, la prima cosa da fare sarebbe ovviamente una doverosa autocritica, accompagnata da un esame delle cause esterne di questo fallimento. Ma al momento non sembra che ci si stia muovendo in questa direzione: i questionari sembrano accantonati, e come al solito si darà spazio solo alle possibili soluzioni, con il rischio di ripetere gli errori già commessi.

I testi che sono stati pubblicati finora, firmati da famosi teologi, si caratterizzano per i richiami ai documenti ecclesiastici, cioè a un corpus di scritti ben noto agli addetti ai lavori, con un metodo che non ha portato risultati positivi. L’unica preoccupazione di chi scrive o parla sembra essere quella di prendere posizione rispetto alla questione dei divorziati risposati, cioè del conflitto interno alla Chiesa. Questione che, come si può ben capire, interessa i laici solo marginalmente, essendo ben altri i problemi impellenti da risolvere.

La scelta di non includere tra gli esperti donne occidentali – cioè appartenente a quella società che, con l’emancipazione femminile, ha visto la crisi della famiglia arrivare al punto più drammatico – fa temere che i problemi veri non verranno affrontati. Le donne sono fondamentali per la famiglia, per la sua crisi e la sua sopravvivenza: non farle intervenire al sinodo non è tanto uno sgarbo nei loro confronti, quanto un’oggettiva lacuna che di fatto limiterà il confronto.

Alle donne si preferiscono le coppie, entità “parlante” che esiste solo nei convegni cattolici: le coppie infatti sono costituite dalla relazione fra due persone diverse, e ridurle a una sola voce significa banalizzarne le analisi, aggiungendo una patina di irrealtà che qualsiasi laico sposato coglie subito. Perché invece non far parlare madri e mogli, padri e mariti, della loro esperienza? Ognuno singolarmente responsabile di quello che dice, libero di esprimersi con sincerità e coraggio.

I due sinodi sulla famiglia sono una grande occasione per la Chiesa di contare di nuovo sul piano culturale e sociale, di tornare a insegnare qualcosa della sua antica saggezza a un mondo che sembra aver perso ogni bussola, e sembra incapace di concepire in modo profondo l’essere umano. Un’occasione che non deve essere sprecata in beghe autoreferenziali, senza ascoltare cosa hanno da dire le donne, grandi esperte di famiglia, proprio in un momento storico in cui la Chiesa può dare un aiuto all’umanità in crisi.