I "santuari" nascosti del potere
secondo Emanuele Macaluso

I "santuari" nascosti del potere secondo Emanuele Macaluso
di Vito Catalano
2 Minuti di Lettura
Domenica 19 Ottobre 2014, 14:58 - Ultimo aggiornamento: 25 Ottobre, 18:24
Quando Leonardo Sciascia, dopo una legislatura da deputato, lasciò la Camera nel 1983, dichiarò: “Il potere non è nel Consiglio comunale di Palermo, non è nel Parlamento della Repubblica. Il potere è altrove.” Emanuele Macaluso, figura storica della sinistra italiana, nel suo “I santuari” (Castelvecchi editore, pagine 92, euro 12) sembra partire dalla stessa visione delle cose d’Italia. Nel nuovo libro Macaluso ci dice che il potere, nell’Italia repubblicana (e già in quella monarchica), è stato gestito costantemente dalla Massoneria, dalla Mafia, dai servizi segreti e da tutti quegli ambienti che hanno retto l’economia e la finanza.



Angelo Panicola, il protagonista del racconto e unico personaggio immaginario, assiste agli avvenimenti italiani che si succedono dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Ottanta: affari torbidi, giochi politici, delitti (molti dei quali eccellenti: da Aldo Moro a Piersanti Mattarella, da Boris Giuliano a Cesare Terranova). Macaluso scrisse questo racconto nel 1981 per “Panorama” e la storia si può certamente definire una storia sciasciana: il tema del potere, i delitti insoluti, l’amarezza che pervade la narrazione.



E nella Nota che adesso ha voluto pubblicare come postfazione (ma più esattamente dovremmo parlare di un vero e proprio saggio) Macaluso, con il suo sguardo lucido e penetrante che semplifica le cose, attraversa tutto la storia d’Italia dall’Unità a oggi. A oltre trent’anni di distanza dalla pubblicazione su “Panorama” il quadro del Paese che viene fuori continua a essere pieno di amarezza anche se non di rassegnazione. E, benché si tratti di una vicenda nota per coloro che conoscono Emanuele Macaluso, emoziona leggere ancora una volta la storia del comizio, nel 1944, di Girolamo Li Causi a Villalba, borgo siciliano allora dominio assoluto del capomafia don Calò Vizzini. Macaluso era insieme a Li Causi, che nel suo discorso, in modo semplice e chiaro, spiegava l’organizzazione sociale e il potere in quelle terre: i grandi feudatari lontani, le terre gestite da Vizzini e da altri mafiosi che sfruttavano i contadini. E don Calò Vizzini, seduto in un angolo della piazza davanti alla sede della DC, a un certo punto, alzando il bastone gridò: “E’ falso!”. Nella piazza scoppiò il pandemonio: contro Li Causi, che rimase ferito, furono lanciate bombe a mano e sparate pistolettate. Un episodio, questo, emozionante ma pure significativo per la storia tutta della Sicilia e dell’Italia negli anni a seguire.
© RIPRODUZIONE RISERVATA