Antonio Tabucchi in un libro di Bajani, tutto da riscoprire

Antonio Tabucchi in un libro di Bajani, tutto da riscoprire
di Luca Ricci
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Sabato 18 Aprile 2015, 09:35 - Ultimo aggiornamento: 12:30
Sono già passati tre anni dalla morte di Antonio Tabucchi ma per certi versi è come se non fosse accaduto nulla.

Come se i molti che lo avevano letto e amato non volessero arrendersi al dato di fatto, e all’opposto la società letteraria tutto sommato l’avesse voluto seppellire in fretta e furia, rimuovendo con una celebrazione d’ordinanza il grattacapo di uno scrittore- di un maestro- che s’era rintanato a Lisbona (e a Parigi) perché profondamente disgustato dall’Italia.



Tra le poche iniziative di questi anni, sarebbe giusto tornare a leggere un libro delicato in cui Andrea Bajani - che della delicatezza ha fatto la sua cifra stilistica - racconta della sua amicizia con Tabucchi. “Mi riconosci” (Feltrinelli, pag. 143, 12,00) parte da questa amicizia per dire del rapporto che si può instaurare tra uno scrittore giovane e uno vecchio, e in filigrana è anche un apologo morale che ribalta alcuni luoghi comuni: in letteratura i rottamatori non esistono, e l’aspetto conflittuale che pure s’instaura tra padri e figli, tra maestri e allievi, è sempre riconducibile a una dialettica virtuosa, a un fare antico da bottega.



Se è vero che la scrittura è un mestiere solitario- Bajani paragona l’artista a un acrobata sospeso su un filo-, è altrettanto vero che ognuno è libero di scegliersi i propri modelli, al di là dello spazio e del tempo. Una narrazione capace di restituire tutte le sfaccettature e la complessità di Tabucchi, dall’amore per Pessoa al sarcasmo da maledetto toscano, fino alla sua proverbiale intransigenza che a un certo punto del libro gli fa dire: “Se l’ignoranza fosse un vuoto sarebbe facile riempirlo di cose, di cultura. Ma l’ignoranza è un pieno. E’ un muro da abbattere, oppure da scavalcare”.



Bajani chi era davvero Tabucchi? O almeno chi era secondo lei?

Era un uomo che camminava sul crinale tra la vita vissuta e quella sognata, con un’andatura tutta svirgolata che era solo sua.



In “Mi riconosci”, a partire dal titolo che evoca l’atto di un rispecchiamento, Tabucchi è sempre sdoppiato. Nella figura del narratore che gli dà del tu, nella statua di Pessoa, in un fratello immaginario, persino nell’immagine televisiva di Omar Sharif…

Pessoa e Pirandello gli erano fratelli nella moltiplicazione delle identità. Quello che mancava, a Tabucchi, era di diventare a sua volta un personaggio. Ed è quello che è successo, scrivendo “Mi riconosci”. L’ho raccolto, e quando l’ho messo tra le righe delle finzione, era evidente che quello era il suo mare. E così, semplicemente, ha cominciato a nuotare.



Nonostante il libro trasmetta una sensazione di luce, perfino di gioia, è pervaso costantemente da immagini di morte. C’è il racconto del funerale di Tabucchi, c’è la visita alla tomba di famiglia nel cimitero vecchianese, ci sono molte telefonate e mail che sembrano già provenire dall’oltretomba. La letteratura è una specie di seduta medianica?

La letteratura è una domanda. Quanto è più grande la domanda tanto più si alza l’asticella. E la domanda per eccellenza è quella ultima. Dove vanno a finire quelli che non sono più? Dove finiremo noi? Per farla bisogna avere un po’ di coraggio e un po’ di incoscienza. Poi il resto viene da sé: ci si affaccia là, in quel vuoto sterminato, e si urla “C’è nessuno?”. E quando la voce ritorna indietro e ti rendi conto che è la tua, è difficile non sorridere.



Il libro è anche una storia di case: l’abitazione di Parigi dove Tabucchi offre cenette a base di spaghetti e champagne; la casa della giovinezza a Vecchiano, ormai disabitata e tenuta in vita dagli amici; il buen retiro a Lisbona… Si può capire meglio Tabucchi attraverso il racconto delle sue case?

Le case sono prima di tutto un contenitore di fantasmi. Ne sono impregnati gli oggetti, i muri, i pavimenti. Ci sono fantasmi anche tra le lampadine fulminate di una casa in cui non va più nessuno, tra le lenzuola piegate negli armadi. I fantasmi, diceva Derrida, dicono sempre una cosa sola: “Vorrei imparare a vivere”. E i fantasmi erano senza dubbio tra i migliori amici di Antonio Tabucchi. E della letteratura in generale. Scombinano le carte, fanno come vogliono loro. E noi dietro a prendere nota delle loro stranezze. Per questo “Mi riconosci” ne è pieno.



In un tempo in cui gli scrittori si muovono molto per blocchi contrapposti e sostanzialmente generazionali, è bello leggere di questo rapporto tra uno scrittore giovane e uno vecchio. Si torna sempre alle affinità elettive, non è così?

Gli scrittori forse si muovono per blocchi generazionali - non tutti, per fortuna -, ma la letteratura certo no. Se ne frega dei recinti anagrafici, li gabba, li scavalca, li spernacchia. La letteratura chiama in causa una parte più profonda delle persone, la stana. È lì, proprio in quel momento, che succede qualcosa, che si accende una fiammata. Se succede qualcosa di molto grande, come in certi rapporti, in certe amicizie, allora è bello stare a guardare il fuoco.



(Twitter: @LuRicci74)