Se è vero - astrattamente parlando - che il sistema elettorale perfetto non esiste, ciò non dovrebbe esimere chi si occupa della materia dal ricercare il miglior compromesso tra le diverse esigenze che ragionevolmente sono da perseguire. Ovvero: garantire anche nell'ambito di un sistema parlamentare una certa governabilità, assicurare rappresentanza a tutte le forze politiche con un seguito significativo, mantenere un legame tra elettore ed eletto. Come sempre, i dettagli sono importanti. Ad esempio, si sostiene che i capilista bloccati (senza possibilità di scelta per gli elettori) siano equivalenti al sistema dei collegi uninominali.
L'argomentazione è questa: siccome comunque sarebbero i partiti, come è accaduto in Italia fino al 2001 con il cosiddetto Mattarellum, a scegliere i candidati nei collegi, i due meccanismi di fatto producono lo stesso effetto. C'è però una differenza fondamentale: nei collegi uninominali viene eletto solo il candidato che vince, magari per una manciata di voti, e tutti gli altri restano fuori dal Parlamento. Dunque chi si presenta deve comunque conquistarsi la vittoria, anche in situazioni apparentemente favorevoli. Invece con i capilista bloccati nella versione della legge "Italicum" l'assegnazione dei seggi avviene a livello nazionale sulla base dei voti complessivi: questo vuol dire che il candidato di una formazione politica che abbia in tutta Italia il 15-20 per cento verrebbe eletto - paradossalmente - anche arrivando ultimo con pochissimi consensi. Ecco quindi che differenze apparentemente impercettibili possono influire sul risultato in modo decisivo. Se i partiti sono in grado di offrire posti sicuri, le liste bloccate di fatto tenderanno a selezionare i parlamentari sulla base di un unico criterio, quello della fedeltà ai vertici. Non è detto che sia un bene.
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