Sorrentino, cos’è una vibrazione?

Sorrentino, cos’è una vibrazione?
di Luca Ricci
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Sabato 8 Marzo 2014, 07:50 - Ultimo aggiornamento: 21 Luglio, 01:27
La constatazione

Constato, spero nel pieno delle mie facolt intellettive, che impossibile in questi giorni occuparsi di cultura senza occuparsi anche di Jep Gambardella.

Questo significa una cosa precisa: al di là di come la pensiate su La grande bellezza, Sorrentino come si dice in questi casi ha già vinto.



L’ambizione

Personalmente de La Grande bellezza salvo l’ambizione: l’attuale panorama cinematografico italiano - da una parte strangolato dalla nuova commedia dei giovani vecchi Genovese, Miniero, Brizzi, dall’altra ostaggio della cricca radical chic dei questuanti ai contributi statali - non brilla certo per spregiudicatezza e coraggio (basta vedere quanti sono gli sceneggiatori in circolazione: si possono contare sulle dita di una mano).



Rimpianto 1

Paolo Sorrentino è bravo soprattutto visivamente, quando crea un cortocircuito nell’immaginario collettivo. Quando racconta la mafia come un thriller o, a scelta, come un film sentimentale ne Le conseguenze dell’amore. O quando racconta la politica filmandola come uno Spaghetti western ne Il divo. Invece ne La grande bellezza Roma viene fotografata come ci si aspetterebbe, quasi in modo turistico (è bene ricordarlo: il film inizia con un giapponese colto da una mortale Sindrome di Stendhal, quasi avvenisse un bizzarro passaggio di consegne tra visitatore e regista: “Guarderò come te”).



Rimpianto 2

Se si vuole ritrarre il nulla, fare un film sul niente, tutto deve essere molto credibile. Il nulla e il niente, per paradosso, devono avere una scaletta ferrea. La grande bellezza invece vuol girare a vuoto, rifiutandosi di cogliere l’opportunità di costruirsi anche come narrazione, ripiegandosi in macroscene più o meno felici (l’unica davvero riuscita è quella della festa iniziale). Eppure, volendo volare appena più bassi, una storia a portata di mano c’era: Servillo/Gambardella e Ferilli/Ramona, il dandy e la prostituta che attraversano Roma (e alla fine della traversata, quello sì, il dandy sarebbe potuto restare un dandy e la prostituta una prostituta, nessun cambiamento, nessun happy end).



La domanda

In una scena Servillo/Gambardella assiste a uno spettacolo di teatro sperimentale- il momento clou è una capocciata all’acquedotto romano-, e poi chiede conto di quell’obbrobrio apostrofando le risposte orfiche del performer: “Lei vuole dare allo spettatore una vibrazione, ma che cos’è una vibrazione?”. Ecco, verrebbe da chiedere la stessa cosa proprio a Sorrentino, quando fa planare una torma di fenicotteri photoshoppati sulla terrazza vista Colosseo dove dimora Servillo/Gambardella (all’alba, naturalmente). I difensori di Sorrentino dicono che ha scelto volutamente di fare un film imbozzolato, privo di sviluppo. D’accordo, liberissimo, ma oltre alla provocazione che cosa resta? Un film per l’appunto imbozzolato, privo di sviluppo.



L’Oscar

Io una teoria per l’Oscar ce l’avrei, a parte l’ennesima riproposizione sempre vincente del pittoresco italiano (in questo senso però più Vacanze romane che Fellini): Hollywood non ha premiato noi, ha premiato il suo stesso sistema quando era giovane e bello e prospero e premiava i registi italiani che parlavano (anche) di Roma.



(Twitter: @LuRicci74)
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