Due fratelli tifosi cresciuti con il mito Totti: «Piangiamo pensando che forse non lo vedremo giocare più»

Due fratelli tifosi cresciuti con il mito Totti: «Piangiamo pensando che forse non lo vedremo giocare più»
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Domenica 21 Febbraio 2016, 20:35 - Ultimo aggiornamento: 22 Febbraio, 00:59
Era il 19 febbraio del 2000, avevo 4 anni ed era la mia prima volta allo stadio, Roma - Fiorentina finisce 4-0. Ancora non ero in grado di capire cosa fosse esattamente il calcio e cosa potesse significare, ma al triplice fischio mi ero già innamorato della Roma. Quel giorno però, in campo lui non c'era a causa di un'espulsione rimediata nella gara precedente contro il Perugia; che sia stato meglio così visto il risultato molto soddisfacente, o peggio visto il mancato spettacolo che solo lui avrebbe potuto regalare, nessuno può dirlo. Una cosa era certa, dalle partite seguenti il mio amore per la Roma si trasformò ovviamente nell'amore per Totti, L'anima della squadra, colui che già era capitano e che diventerà il principale attore dello slogan "c'è solo un capitano" spesso echeggiato da noi tifosi. Questo legame verso di lui forse quasi scontato vista  la contemporaneità tra il suo esordio con la maglia della  Magica e la mia nascita; col passare degli anni iniziai a comprendere meglio tutto ciò che mi circondava e capii che Totti era la Roma e la Roma era Totti, come se ci fosse sempre stato, come se non potesse mai finire... come se non dovesse mai finire. Mi ha accompagnato negli anni con gol ed emozioni, magie ed illusioni, speranze e delusioni, che al di là del risultati e delle posizioni in classifica mi davano comunque una certezza: la Roma avrebbe sempre potuto contare sul suo unico capitano.

Gli anni passavano e lui era sempre lì, ma intanto piano piano iniziava ad aleggiare l'idea e il pensiero che prima o poi, tutto sarebbe finito; pensiero che già da allora faceva crescere tristezza e malinconia.

Quell'idea ormai, oggi si è trasformata in realtà o poco ci manca, inizia a scendere qualche lacrimuccia, nel vederlo giocare le ultime partite con la sua Roma, nella sua Roma. Ma la cosa che mi rende ancora più orgoglioso che lui sia stato il mio capitano, è quando le telecamere ora lo riprendono in panchina a 39 anni con la voglia di entrare in campo per una delle sue ultime partite, e lui cosciente del momento è lì che sorride come sorride un bambino, come ho sorriso io alla fine della partita il 19 febbraio del 2000.
Ciao capitano

Stefano P.


Ci siamo abituati, a dimenticar le mode. Dopo averle viste nascere, dopo averle seguite, e dopo averle lasciate svanire. Abbiamo imparato che tutto ha un suo tempo, ma ci sono cose di cui proprio non riusciamo a disfarci. Come quella maglietta che teniamo nell'armadio e non usiamo mai. È vecchia, è larga. Non riesci proprio ad immaginare di poterla utilizzare ancora. Ma è speciale. Ti ricorda qualcosa, ti ricorda qualcuno. Ti fa sorridere quando la guardi, e pensare "quanto tempo è passato". E ti fa sentire bene.
Nessuna moda, però, dura 22 anni. Nessuna moda ti fa emozionare 300 volte. Allora, ci rendiamo conto che Francesco Totti non è una moda, e non è nemmeno quella maglietta, che ha valore solo per te. Lui è colui che la moda l'ha scritta, e il suo nome significa qualcosa per tutti.
Lui è lo stilista. È quello che ha confezionato gli assist più incredibili, quello che ha ritagliato, tra le maglie avversarie, spazi per le sue traiettorie. È quello che ha cucito, nei cuori dei tifosi, ricordi indelebili. Le mode passano, chi le inventa resta. Resta, ma deve sapersi adattare. Resta, ma prima che il suo bene deve volere quello di coloro che lo seguono. Coloro che lo amano, e non lo dimenticheranno mai. Che giochi, ma soprattutto che non giochi.
Un abbraccio Francesco, come quel giorno di tanti anni fa a Trigoria dopo lo scudetto.

Alessandro P.
 
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