Donne e motori, Francesca Sangalli e l'idea Cupra: «L'auto sportiva e veloce non è solo per uomini»

La manager a Milano: "Dopo anni di stereotipi al maschile, la sfida è puntare sulle donne"

Donne e motori, Francesca Sangalli e l'idea Cupra: «L'auto sportiva e veloce non è solo per uomini»
di Valeria Arnaldi
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Sabato 20 Aprile 2024, 08:34 - Ultimo aggiornamento: 08:37

No agli stereotipi, sì alla rivoluzione, di sguardi, prospettive, tecniche. Insomma, visione. Anche al volante. La concept car Cupra la "ribellione" la dichiara già nel nome - DarkRebel appunto - ed è anche contro canoni e stereotipi, primo tra tutto quello per cui un'auto sportiva, potente, veloce, è comunemente ritenuta "maschile". Il segreto della vettura, infatti, a sorpresa, è in uno sguardo femminile, quello di Francesca Sangalli, Responsabile di Color & Trim and Concept & Strategy. Oggetto dell'installazione The Rebel Side of Design, in occasione della Design Week, la vettura è raccontata in un percorso espositivo ad hoc - fino a domani al Cupra Garage Milano, in Corso Como 1 e le adiacenti Piazza XXV Aprile e Garibaldi Gallery - che prevede un'esperienza "phygital", anche immersiva. D'altronde, è nata anche grazie al coinvolgimento della Cupra Tribe e delle oltre 270mila configurazioni create attraverso l'hyper configurator.
Francesca Sangalli, come è iniziato il suo iter nell'automotive?
«Ho studiato architettura al Politecnico di Milano e ho preso la seconda laurea in Industrial Design a Londra. Ho iniziato la carriera come Product Designer. Poi, Mercedes-Benz mi ha contattata per entrare nel suo Advanced Design Studio, a Como. All'epoca c'era una donna a capo della struttura. Era inusuale. Peraltro era consuetudine contattare nell'automotive solo chi avesse studiato Transportation Design. Ho lavorato lì sedici anni. Amavo l'idea di poter cambiare il settore trasporti, portando uno sguardo nuovo».
Le è costato molta fatica?
«Sicuramente. Quando sono entrata in questo mondo, erano tutti car designer nati e cresciuti in un sistema che voleva le auto fatte secondo canoni precisi. Venivo considerata naïf. Mi dicevano: "Si fa così". Ma io sapevo che si poteva fare in modo diverso. Anni fa, la voce Color & Trim rimandava solo all'idea di coprire le superfici create dal designer. È stato una lotta far cambiare approccio. Oggi, il materiale stampato in 3D, di fatto, è quello che cambia il design».
All'esperienza con hyper configurator, in che misura hanno partecipato uomini e donne?
«Non si è evidenziata una caratterizzazione di genere, d'altronde, l'idea che abbiamo noi di Cupra è quella di puntare l'attenzione sulle nuove generazioni e sulla visione gender neutral. Non esistono auto per uomo o per donna, così abbiamo cercato di uscire dallo stereotipo dell'auto sportiva associata all'uomo».

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Uno stereotipo ben radicato.
«Sì e poteva essere facile caderci, d'altronde le auto sportive hanno canoni estetici abbastanza caratterizzanti, ma noi volevamo rompere gli schemi e dare un volto nuovo a questo tipo di vettura».
Dopo tanto tempo di sguardi al maschile per approdare alla gender neutrality, bisognerà, per paradosso, puntare più sul femminile?
«Credo che, dopo decenni di storia, sarà necessario fare così effettivamente. Si dovrà calcare sulla presenza femminile, per un po', per riequilibrare quella maschile che ha definito il prodotto in modo univoco. Ciò che serve è un cambiamento culturale a monte, senza nuove ghettizzazioni. Lo stereotipo maschile vive nell'automotive, legato al passato. I giovani hanno un approccio gender neutral. E anche un sincero interesse per la sostenibilità, che non sia green washing, e il desiderio di guardare al concetto alla base del design, quindi pure a nuovi materiali e processi produttivi».
Ha iniziato circa venti anni fa, come è cambiato il settore?
«In Mercedes-Benz, l'esperienza era associata al settore lusso. I canoni erano difficili da scardinare, anche per il passato forte, potente, del marchio. Quando sono entrata in Cupra, ho visto la possibilità di fare qualcosa di totalmente nuovo. Così, ad esempio, nei materiali. Nell'automotive si fa un forte uso di quelli nobili e anche i brand che non li utilizzano, aspirano a farlo, io ritengo che questa visione vada scardinata, altrimenti i codici estetici dell'auto rimarranno sempre gli stessi».
Come si può fare?
«Bisogna cambiare i processi di creazione dell'auto.

Servono investimenti e il coraggio di affrontare rischi alti. Si deve essere sempre curiosi, pronti a creare un nuovo modo di pensare, pur mantenendo la coerenza con ciò che si fa».


I modi più interessanti?
«Ritengo che la chiave sia la luce. Da qui possono arrivare input interessanti per il design del futuro. Il dialogo tra materiale e immateriale è una sfida importante, come la facoltà di portare emozioni nel design».
Cosa consiglierebbe ai giovani desiderosi di lavorare nel suo ambito?
«Di non fossilizzarsi su schemi e preconcetti. Chi ama il prodotto può rischiare di intraprendere un percorso nostalgico».
E, visto che il "gap" ancora si sente, cosa direbbe alle ragazze?
«Di accettare la sfida e provare a entrare in questo mondo, tradizionalmente maschile, proprio per cambiarlo. È solo da dentro che si trasformano le cose. I tempi sono maturi. La disponibilità delle aziende c'è perché, di fatto, c'è la necessità».

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