Non solo automobili. La crisi dei microchip, che dura da alcuni anni e che è stata accelerata dal conflitto Russia-Ucraina e dalla quasi totale dipendenza dalla Cina, rischia di mandare in tilt il mercato delle carte di pagamento. I nostri bancomat e le nostre carte di credito. Per le quali i semiconduttori sono ovviamente fondamentali. Secondo alcuni calcoli, rispetto a 5 anni fa i tempi di consegna di alcuni chip avanzati necessari per i sistemi di sicurezza bancaria informatica si aggirano intorno alle 52 settimane, rispetto a una media precedente di 27 settimane. In pratica, l’offerta non riesce più a tenere il passo della domanda.
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ESCALATION
Il Dipartimento del commercio degli Stati Uniti ha recentemente avvertito che la crisi è destinata a durare ancora a lungo e secondo un sondaggio realizzato su 150 aziende della filiera di approvvigionamento, scorte sarebbero passate dai 40 giorni del 2019 agli attuali cinque. La produzione mondiale batte la fiacca.
Un’altra materia prima indispensabile è il palladio, e il 45 per cento è prodotto in Russia, mentre le terre rare sono quasi tutte in mano cinese. Per fortuna, di fronte a questa emergenza, pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva ottenuto l’approvazione del cosiddetto «Chip Act»: un investimento tra i 43 e i 45 miliardi di euro per la produzione di semiconduttori in Europa. «Si tratta di 15 miliardi di investimenti pubblici e privati aggiuntivi entro il 2030, oltre ai 30 miliardi già previsti da Next Generation Eu, da Horizon Europe e dai bilanci nazionali», aveva spiegato la von der Leyen.
Ma, ovviamente, si tratta di investimenti che daranno frutti in tempi medio-lunghi. E nel frattempo la fame di chip salirà ancora. Occorre ricordare che nello scorso autunno, il governo italiano ha messo a disposizione delle imprese produttrici di microchip fondi per oltre 700 milioni di euro, a cui si aggiungono quelli del Pnrr. «Siamo impegnati a sostenere la ricerca e ad attrarre investimenti sul settore, perché le innovazioni sui semiconduttori possano provenire anche dall’Italia e dall’Europa» aveva spiegato Draghi a fine 2021. Ma il terreno da recuperare per affrancare l’Italia dalla dipendenza asiatica e statunitense è lungo e tortuoso. Basti pensare che la capacità produttiva nei semiconduttori dell’Unione europea è scesa dal 24% mondiale del 2000, all’8% attuale, secondo un rapporto pubblicato da Asml.
Purtroppo, dicono gli esperti, la crisi dei semiconduttori è stata esacerbata dal periodo di pandemia, che ha provocato interruzioni lungo la supply chain e accelerato fortemente la digitalizzazione. Di fatto la domanda è esplosa e l’offerta non riesce più a tenere la sua corsa. La soluzione – come ha sottolineato ancora il premier Draghi - non è alle porte, nonostante gli investimenti fatti e previsti da parte dei chipmaker, anche in Europa. Tanto più che in alcuni paesi asiatici i rinnovati lockdown per la recrudescenza del Covid causano la chiusura delle fabbriche e la mancanza di forniture.