Paolo Balduzzi
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L’appello di Draghi/ Se l’elettore non vota per le troppe difficoltà

di Paolo Balduzzi
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Venerdì 26 Agosto 2022, 00:04

«Invito tutti ad andare a votare» e «L’Italia è un grande Paese e ce la farà, anche questa volta»: parla come un Presidente della Repubblica, Mario Draghi a Rimini. E come tale è accolto: tanti applausi, affetto sincero, emozioni reciproche, in chi parla e in chi ascolta. Si tratta invece del Presidente del Consiglio uscente, dimissionario dopo l’ennesima crisi di governo del nostro Paese. Il prossimo sarà il sessantottesimo governo in settantasei anni di storia repubblicana; la durata media dei governi, nel nostro paese, è stata di circa tredici mesi: poco più di un quinto di quella che dovrebbe essere la durata di una legislatura. “Andate a votare” significa “Abbiate fiducia nella politica”: un paradosso, visti questi numeri e la fine, inaspettata e inspiegabile agli occhi di normale cittadino, della sua esperienza di governo. 


Un paradosso apparente, però. Perché questo è l’invito di una persona che, nella sua vita, ha dimostrato di saper leggere i numeri. E di dare un valore, non solo economico ma anche politico, alle cifre. E le cifre sono le seguenti. Alle ultime elezioni amministrative, che si sono tenute nel giugno di quest’anno, quasi la metà degli aventi diritto non si è presentata alle urne già al primo turno; l’astensionismo ha raggiunto addirittura il 60% al secondo turno. Ancora più eclatante il caso dei referendum abrogativi, che richiedono un quorum di partecipazione perché siano considerati validi. 



Nella storia referendaria, il quorum è stato superato solo il 50% delle volte. Non solo: negli ultimi venticinque anni, a partire cioè dal 1997, i referendum sono sempre falliti, con l’unica eccezione del 2011. È vero che le elezioni politiche attirano generalmente più elettori, ma anche qui la tendenza sembra chiara: guardando agli ultimi venti anni, dopo un lieve aumento della partecipazione tra il 2001 e il 2006 (dall’81% all’84%), questa è sempre scesa: 81% nel 2008, 75% nel 2013 e 73% nel 2018. Davanti a questi numeri, il governo Draghi ha avuto il merito di aver commissionato e poi pubblicato proprio un Libro bianco sull’astensionismo: “Per la partecipazione dei cittadini. Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”. Il volume è disponibile online ed è liberamente consultabile: la speranza, naturalmente, è che venga letto non solo dagli elettori ma soprattutto dai politici. Che qualcosa, per diminuire l’astensionismo, possono e devono farlo. Su quello che possiamo definire astensionismo da disaffezione, in realtà, c’è poco da fare nel breve periodo. Anche perché gli effetti di una buona o di una cattiva politica sulla partecipazione possono essere anche controintuitivi. Un buon governo può portare sì a maggiore partecipazione ma non solo: se ci si fida della classe politica, perché preoccuparsi troppo? Allo stesso modo, se la politica disgusta ci si può certo allontanare ma si può partecipare anche molto di più, votando o addirittura creando proposte politiche alternative per favorire un cambiamento.

Insomma, meglio concentrarsi su questioni molto più pratiche.

Il caso più eclatante di “astensione involontaria”, come la definisce lo stesso Libro bianco, è quella di studenti e lavoratori fuori sede. Quante persone sono interessate da questo problema? Secondo il Libro bianco, sono quasi cinque milioni gli elettori che svolgono la propria attività lavorativa o frequentano corsi di studio scolastici o universitari in luoghi diversi dalla Provincia (o Città metropolitana) di residenza. Si tratta, curiosamente, di una cifra non molto distante dal numero degli italiani residenti all’estero e iscritti all’Aire (Anagrafe per gli Italiani residenti all’estero), 5,8 milioni. Che invece il diritto di votare (addirittura per posta) lo hanno già ottenuto ben una ventina di anni fa. Sono 1,9 milioni coloro che per rientrare al luogo di residenza attraverso la rete stradale impiegherebbero oltre 4 ore (tra andata e ritorno). Per il 14% circa del totale (quasi 700.000 elettori, la quinta città italiana per dimensione dopo Roma, Milano, Napoli e Torino), invece, il viaggio complessivo (andata e ritorno) è superiore alle 12 ore. La normativa vigente prevede sì un rimborso (parziale) del costo del biglietto.

Tuttavia, è una soluzione che si ritiene insoddisfacente. Innanzitutto, perché è casomai possibile rimborsare il costo del biglietto ma non certo il tempo di viaggio: e spostamenti di molte ore rendono certamente più probabile la rinuncia all’esercizio del voto. Inoltre, per quanto riguarda il costo economico, un prezzo da pagare rimane: e ciò rende l’esercizio del voto diverso per chi si trova in questa situazione. Se il voto deve essere “uguale”, come ben stabilisce l’art. 48 della Costituzione, allora lo deve essere anche a parità di condizioni economiche. Questi elettori dovrebbero poter votare in un seggio diverso da quello di residenza. Altre proposte contenute nel Libro bianco riguardano la digitalizzazione del procedimento di voto (e, secondo chi scrive, anche quella di raccolta delle firme per presentare una lista), e la definizione a priori di una data fissa, massimo due, in cui raccogliere tutte le possibili elezioni dell’anno (cosiddetto “election day”, per chi ami gli inglesismi). E ancora: forse non sarebbe sbagliato tornare al voto su due giornate, a patto, naturalmente, di smettere di utilizzare gli edifici scolastici. Si tratta di piccoli accorgimenti, a volte facilmente attuabili: con un po’ di fiducia, potremmo credere che sarebbero stati presi già da questo governo se avesse avuto più tempo. I programmi elettorali, invece, abbondanti di proposte eclatanti, continuano a snobbare l’argomento, salvo rare eccezioni. Non è un grande segnale per il futuro, nonostante l’ottimismo con cui Mario Draghi, due giorni fa, è riuscito a contagiarci.
 

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