Giuseppe Vegas
​Giuseppe Vegas

Noi e la Francia/L’identità religiosa e la nostra civiltà

di ​Giuseppe Vegas
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Domenica 9 Luglio 2023, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 19:00

“La libertà religiosa è un diritto naturale e precede ogni formulazione giuridica perché è scritto nel cuore dell’uomo”. Sono le parole del presidente del consiglio Giorgia Meloni in occasione della presentazione dell’ultimo rapporto sulla libertà religiosa nel mondo.

La premier ha poi condiviso l’ammonimento di Papa Francesco, secondo il quale un malinteso concetto di inclusione può portare a limitare la possibilità dei credenti di esprimere le proprie convinzioni, precisando che è “profondamente sbagliato pensare che per accogliere l’altro si debba negare la propria identità, compresa l’identità religiosa”.

Contemporaneamente, la Francia laica è stata profondamente scossa da violente sommosse che non erano più caratterizzate da rivendicazioni economiche, ma che hanno portato alla ribalta lo spinoso tema della transizione etnica. E, con esso, la questione del tramonto del modello francese che conoscevamo, di un paese bianco e cristiano, a cui oggi ne viene contrapposto uno nel quale si diffondono pratiche religiose e costumi alternativi che minano alle radici la tradizione di laicità dello Stato.


Si tratta di una nuova realtà con la quale dobbiamo fare i conti e che ci obbliga a riflettere sul nostro futuro e a domandarci anche se le politiche di accoglienza adottate fino ad oggi abbiano avuto successo e specialmente se abbiano favorito o meno una vera integrazione, nella quale siano stati collocati a fattore comune valori unanimemente condivisi. 
Occorre chiedersi se il nostro tessuto sociale, quello di un’Europa prospera ed accogliente, sia ancora in grado di attrarre altre popolazioni ed assorbire i nuovi venuti in una realtà di integrazione non conflittuale. Problema tanto più complesso, quando quest’ultima si manifesta con numeri importanti.


Ma la questione di maggior rilievo con la quale dobbiamo confrontarci nei tempi più recenti riguarda il fatto che il conflitto tra i vecchi e i nuovi europei, anziché basarsi esclusivamente su rivendicazioni economiche, la tradizionale contesa tra ricchi e poveri, si vada sempre più velocemente trasformando in un duro confronto tra i diversi modelli culturali, se non di civiltà. I giovani francesi rifiutano l’egalitè, perché non si sentono uguali, ma discriminati, pretendono il rispetto identitario e invocano un conseguente trattamento differenziato. Che per i responsabili delle istituzioni non è accettabile, perché è contrario alla lettera e allo spirito della costituzione. In Italia comportamenti e simboli tradizionali religiosi vengono banditi per offrire un segnale distensivo nei confronti di chi non li condivide.
In questo quadro, il segnale più ovvio, e insieme più preoccupante è che l’affermazione dell’antagonismo sociale viene sostenuta utilizzando lo strumento più caratterizzante ed identitario a disposizione. Quello della religione. Il credo rischia così di trasformarsi in una sorta di clava da utilizzare come arma di lotta politica.
Se la contrapposizione avviene su queste basi, si deve allora constatare che le odierne democrazie partono in svantaggio, poiché la secolarizzazione delle nostre civiltà non è in grado di offrire un meccanismo di coinvolgimento ideologico alle loro popolazioni.

Mentre le religioni uniscono i popoli ed offrono ai singoli un ideale trascendente a cui ispirare la propria vita, il rispetto della legge ed il perseguimento degli obiettivi di giustizia delle nazioni non attraggono né emozionano. L’etica pubblica, quando c’è, lascia l’uomo da solo e sperduto di fronte alle proprie responsabilità. D’altronde il sistema democratico per sua natura rappresenta, a differenza della religione, solo uno strumento e non il fine dell’attività collettiva. Senza considerare il fatto che chi si affida alla religione non riconosce la medesima legittimazione morale a chi si richiama alla sola etica o alla filosofia, scienza che si concentra sull’umano e trascura il divino. Siamo dunque di fronte ad una situazione di disparità che non nasce dal nulla.

La costituzione francese del 1958 precisa, all’articolo 1, che la Francia “è una repubblica… laica” e che “rispetta tutte le convinzioni religiose e filosofiche”: quindi pone esattamente sullo stesso piano religione e filosofia. All’individuo scegliere. D’altra parte, la Costituzione italiana dispone, all’articolo 7 che: “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”, a differenza dello Statuto albertino del 1948 che affermava: “La religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato”. Anche l’Italia dunque, nell’ambiguità del riferimento al concetto di ordinamento, termine impreciso che consente ad ogni soggetto di sentirsi coinvolto, opera una scelta a-confessionale. Infine, nel testo della cosiddetta costituzione europea del 2004 non è presente il riferimento, pur invocato da molti, alle radici giudaico-cristiane della civiltà europea.


Bene ha fatto dunque il presidente del Consiglio a rifarsi alla parola del Papa e a richiamare l’identità religiosa come elemento originario di una identità culturale, e, per ciò stesso, come base della nostra civiltà. Se poi questa civiltà avrà la capacità espansiva nei confronti delle altre, come ha avuto nel passato, e sarà in grado di sopravvivere nel tempo, è altro discorso. Resta il fatto che un arrendevole nichilismo culturale e storico non è in grado di offrire, né agli altri, né a noi stessi, una base riconosciuta sulla quale poter costruire un futuro di pacifica coabitazione comune.

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