Giuseppe Vegas
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Le idee/ Se il ministro toglie il dinosauro dal sussidiario

di Giuseppe Vegas
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Sabato 11 Maggio 2024, 23:50

«Nei programmi elementari c’è troppa roba. In terza elementare si vanno a spiegare tutte le specie dei dinosauri, tutto questo a che serve?». Sono parole del ministro dell’istruzione Valditara. In fondo, non si tratta di altro che della ripresa in chiave moderna della sarcastica critica di Seneca, il quale, lamentando l’inutilità di molti metodi di insegnamento dei suoi tempi, affermava che «non vitae, sed scholae discimus».

Col passare del tempo, il detto del filosofo romano è stato rovesciato, diventando «impariamo per la vita, non per la scuola». E tale è rimasto il proposito di fondo delle istituzioni scolastiche moderne. Ma, negli anni, sono intervenute mani esperte di ministri che volevano passare alla storia e di oculati vergatori di programmi scolastici. Ognuno di questi illustri personaggi ci ha aggiunto del suo e il risultato è proprio quello di essere tornati ad una scuola che insegna per se stessa, nulla curandosi del futuro dei propri discepoli. Finalmente, un ministro della Repubblica ha abbandonato le chimere di inseguire una improbabile riforma della riforma delle riforme ed ha avuto il coraggio di dire che il re è nudo. Abbandonando le fumoserie dell’astrattismo concettuale, si è assunto l’ingrato compito di guardare in faccia alla realtà: la scuola non riesce più ad attrarre la voglia di studiare dei giovani, perché fornisce in molti casi nozioni inutili e confuse.

Per esperienza personale, conosco scolari di quarta elementare che sono stati un mese a studiare l’economia degli Ittiti, studenti delle medie che approfondiscono gli insiemi, ma non conoscono le tabelline, giovani che hanno conseguito la maturità, ma non hanno idea di dove scorra il fiume Po. Molti hanno studiato Greta Thunberg, ma non la seconda guerra mondiale. La responsabilità di questa situazione non dipende tanto dagli insegnanti, quanto dai programmi che devono seguire. Guardiamo allora questi programmi e a come sono stati trasfusi nei libri di testo. Prendiamo, a mo’ di esempio, un diffuso volume di geostoria - la sola parola mette i brividi - per il primo anno del liceo. In proposito, non si può fare a meno di notare che la geografia non esiste più come materia a sé stante; certo esiste Google Maps, ma non conoscere i nomi e l’ubicazione delle regioni italiane, solo per fare l’esempio più banale, non aiuta certo a capire in che Paese viviamo. D’altronde, la geografia costituisce ormai una sorta di sottovoce della sociologia economica, come se fosse quest’ultima materia a plasmare pianure, fiumi, mari e montagne e non esattamente il contrario. Non mancano poi divagazioni alquanto originali, come il raffronto tra il ritratto di Ramses II e l’odierna educazione digitale. O, ancora più brillantemente, la comparazione tra Giulio Cesare, qualificato come il dominatore del Mediterraneo (e la Gallia e la Tracia?), e l’odierno turismo di massa: quasi che il più grande condottiero della storia non fosse altro che il testimonial di una pro-loco.

Sono solo esempi, ma di una realtà che non si può sottovalutare.

In primo luogo, l’elefantiaca estensione dei libri scolastici: un libro di geostoria per il primo anno di liceo raggiunge tranquillamente anche le 500 pagine. E questo vale per una materia che si insegna per sole tre ore alla settimana. Non diversamente accade anche per i testi di altre materie. Il risultato è che uno studente diligente dovrebbe essere in grado di digerire diverse migliaia di pagine in ciascun anno scolastico. C’è di che scoraggiare anche i più volenterosi. Tra l’altro, una così estesa massa di nozioni non tiene conto che un liceale non deve necessariamente trasformarsi in un accademico in miniatura, competente in ogni singola materia, ma, più semplicemente, disporre degli strumenti per potersi muovere nel vasto mondo delle scienze e delle lettere.

Una simile ubriacatura di nozioni, invece, non porta ad altro risultato se non a quello di rendere i nostri ragazzi incapaci di discernere tra le cose importanti e quelle che non lo sono e di operare una sintesi razionale nella massa di conoscenze disponibili. Il risultato è solo quello di allontanare, come sta proprio avvenendo, i ragazzi dalla scuola e di spegnere in loro ogni curiosità per lo studio, il sapere, la lettura. In proposito, occorre anche osservare che proprio i programmi scolastici sono stati pensati con il preciso intento di offrire agli studenti una sorta di pantagruelico menù, all’interno del quale scegliere, come in realtà sono costretti a fare molti docenti, argomenti da trattare indipendentemente dalla loro importanza e dalla presenza di una connessione logica e temporale tra l’uno e l’altro. Ne deriva l’acuirsi della difficoltà di comprendere le relazioni tra temi sconnessi fra loro e di muoversi all’interno di un profluvio di nozioni, offerte senza tener conto di come funzionano i meccanismi di apprendimento. Che, per essere efficaci, devono concentrare in pochi punti l’attenzione del lettore, mettendo in ordine i fatti e gli avvenimenti (chi, dove, quando, come e perché): messaggi sintetici e preferibilmente a contenuto monotematico.

Se la scuola non è in grado di adottare un simile meccanismo di trasmissione del sapere, è destinata ad essere considerata come una corvée e non come una opportunità di crescita. Con la conseguenza che i ragazzi, costretti a muoversi in un mondo nebuloso ed incomprensibile, vedranno deluse le loro aspettative per il futuro e si troveranno sconnessi dal mondo reale. Non a caso, e lo vediamo già oggi, anche il senso di appartenenza alla nostra civiltà va, gradualmente ma velocemente, evaporando. Per recuperarlo bisogna iniziare dalla scuola.

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