Strade e treni, l’inferno Roma: un giorno di ordinaria paralisi

di Mario Ajello
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Sabato 20 Maggio 2017, 00:21 - Ultimo aggiornamento: 10:17
La città inferno. Eccola, si chiama Roma. Non la Roma di Federico Fellini, quella dell’omonimo film, in cui il raccordo anulare è bloccato e il Colosseo è un rudere assordato e assediato dal traffico. Rispetto a precedenti così, cinematografici e realisti, e all’ordinaria paralisi della città aggravatasi negli ultimi giorni, tra lavori e nuovi limiti a 30 all’ora sulla Colombo e nelle altre vie a scorrimento (ex) veloce, ieri si è avuto l’acme.

Si è vissuta la giornata di straordinaria follia. Si è patito il peggio. In un crescendo che a sera è sfociato nel black out che ha fermato tutto, e perfino gli altoparlanti necessari ad avvertire del guasto e dei ritardi dei treni, alla Stazione Termini. Ossia nell’impossibilità per chi voleva scappare da Roma (e le ragioni c’erano tutte) di farlo e nel divieto (causa rallentamenti e blocchi sulle linee) d’ingresso per chi desiderava vedere da vicino la città inferno.

MIGLIA E MILLIMETRI
Roma città chiusa. Roma città immobile. E costretta a una sorta di pena del contrappasso. La corsa delle Mille Miglia, che di per sé non sarebbe un problema, ha reso off limits la zona di Villa Borghese, via Veneto, pezzi del centro con ricadute devastanti di caos tutt’intorno, e l’esaltazione della velocità si è ribaltata nell’immobilità in un intero quadrante cittadino. Altro che Mille Miglia, mille millimetri all’ora! Quelli che dal primo mattino, fino quasi all’ora di pranzo, si potevano percorrere nell’area della Nomentana, perché alle 5,30 un motociclista si è schiantato verso Piazza Sempione e da quel momento strada sbarrata, deviazione del flusso del traffico nelle vie circostanti e solito risultato: si salvi chi può. Ma dove fuggire? Verso l’aeroporto di Fiumicino e il mare?

Macché. Sono caduti pezzi d’intonaco e la “pellicola” del viadotto Morandi, sulla Roma–Fiumicino, e l’autostrada è stata chiusa, si è formato un serpentone di auto che sembrava non finire più. Per non dire degli effetti provocati da questa situazione, proprio nel giorno di inizio week end in cui si viene e si va e ci si dovrebbe sentire più liberi e non più imbrigliati, sul contesto intasato della Magliana, dell’Eur, della Portuense e a cascata tutto il resto. A riprova che basta un’emergenza anche semplice da risolvere e prevedibilissima come la vernice che si scrosta da un ponte di metallo, per mandare in tilt gran parte del sistema urbano. E neppure è risultata troppo praticabile, dalla Magliana, la fuga verso la Cristoforo Colombo perché, oltre ad essere intasata e bucata sempre e ieri sempre di più, è ormai semi-impraticabile a causa di tutte le radici dei pini che rendono gobboso l’asfalto e simile a una rete per il jumping ma non si possono tagliare perché considerate «radici storiche» e poi gli ambientalisti chi li sente. Le sirene delle auto della polizia che cercavano di domare il disordine in queste ore le hanno sentite tutti, insieme a tutti i rumori e i deliri di un venerdì nero.

LA POLVERE E LA POESIA
Il venerdì nero una volta era quello delle Borse e quello degli scioperi e dei cortei paralizzanti. Oggi è quello dell’auto-sabotaggio. Di una città che si fa del male da sola ed è costretta, di malavoglia, a convivere con la propria immobile instabilità. Ieri la realtà, in un colpo solo, si è incaricata di mettere in fila i problemi di Roma, almeno quelli relativi agli spostamenti, e la polvere uscita da sotto al tappeto (ma anche sopra ce n’era già tanta, come s’è visto con l’assemblea dei vigili l’altro giorno che ha bloccato la città) fa dire a tutti quanti, anche a quelli che non conoscono la poesia di Eugenio Montale: «Spesso il male di vivere ho incontrato». L’incontro, anzi lo scontro quotidiano, con l’invivibilità è quello capace di rendere la bellezza di una Capitale un incubo privo, almeno ieri, di vie d’uscita.

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