Manuel, 16 anni, comunica soltanto con la scrittura: «Io autistico penso anche se non parlo»

Manuel, 16 anni, comunica soltanto con la scrittura: «Io autistico penso anche se non parlo»
di Carla Massi
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 13 Settembre 2017, 00:02 - Ultimo aggiornamento: 15 Settembre, 13:05
Manuel non parla ma scrive. Si guarda, esamina se stesso e gli altri, lega i pensieri e poi scrive. Assiste ad una scenetta divertente, legge con ironia il comportamento di un amico, un familiare o un compagno del liceo classico che frequenta in Calabria e poi scrive. Tanto da arrivare a firmare un libro di centoquaranta pagine. Argute, comiche, amare, cariche di emozioni, riflessioni e tratteggi della vita quotidiana. Il suo libro, esce oggi per Bompiani Overlook, si intitola Il bambino irraggiungibile.

Manuel Sirianni ha 16 anni e, come si definisce, è «un autistico non verbale ma pensante». Aveva poco più di un anno, diciotto mesi, quando la sua parole è sparita. Volata via con il vento che lo accarezzava. Prima qualche sillaba per comunicare con il mondo, poi più niente. Il silenzio. Ma non l’isolamento. Per lui, la tenacia dei suoi genitori Oceania e Franco oltre alla scuola, il fratello e gli amici.

LA TASTIERA
La scrittura come comunicazione compare a nove anni davanti ad una tastiera del pc. Non frasi sconnesse o pensieri in libertà. Manuel, da solo, traccia una linea per farsi “sentire” e far capire quello che ha nella testa. Giudizi, pensieri, passioni, antipatie. Scopre, così, che la sua libertà è lì tra i tasti, davanti a quel video che rimanda le sue parole in fila, la sua storia e una profonda autoironia. Un obiettivo si intravvede in ogni capitolo: smentire che il quoziente intellettivo di una persona sia proporzionale alla quantità di parole emesse nell’aria.

È uno scrigno da scoprire il libro. Manuel prende per mano, senza mai neppure sfiorare il vittimismo, e si racconta come un naufrago che è tornato da un lungo esilio. Un Ulisse che ricorda tutto (solo per la primissima infanzia viene in aiuto la mamma)e spiega come è riuscito ad essere «sempre meno marziano e un po’ più ospite del mondo». La lettura scorre e diverte soprattutto quando ci si imbatte in parole inventate da lui, in costruzioni che sembrano non avere un legame ed invece, nel libro intero, ce l’hanno. Eccome. La fatica di Manuel mette alla prova e tira in ballo anche il lettore quando scrive che tutti “siamo presi da timore di autismo”.

Si disegna con poche righe: “I non verbali non sono minerali, fossili o similari ma hanno anima e pensiero rapido, il che li rende ultrasensibili alle assurdità del mondo”. Proprio questo suo autoritratto permette di capire che, di pagina in pagina, non ha voluto solo fotografare la realtà quotidiana della famiglia né ingessarla in aneddoti ma elevare le considerazioni a latere. Trasformare la narrazione del cronista in una meditazione sulla gioia, sullo sforzo di vivere così. Sottolineando sempre la sua gratitudine verso la vita.

LA FORZA
“Non è un libro scritto per farvi andare in depressione o in ansia - si legge - ma, al contrario, per sollecitare in voi il pensiero positivo, quello che vi deve far rialzare da tutte le cadute, quello che deve darvi la forza per vivere ogni giorno come se fosse migliore del precedente. Il mio pensiero affettuoso va a tutti i bambini che stanno soffrendo come ho sofferto io, ai ragazzi che nel mondo dell’apparente silenzio urlano la loro rabbia e a tutti quei genitori che patiscono dolori profondi dell’animo come li hanno provati i miei genitori prima di iniziare a conoscermi».
Un disvelamento troviamo in questo libro. Che inizia a nove anni ma che, nel momento in cui scrive, ha forza, incisività e passione di un uomo adulto. Uno che ha avuto il coraggio di mettersi davanti allo specchio. Ecco le prime fasi di senso compiuto che ha scritto a sua madre da bambino: “Molto ti turberebbe di me, molti credono che io non capisca nulla di cosa accade intorno a me, leggo i libri in poco tempo...”. Ed è lui stesso a descrivere l’emozione che ha rapito sia lui che i suoi genitori. Loro perché iniziavano a “parlare” con un figlio e Manuel perché era riuscito a trovare un modo per raccontarsi.

SINGOLARITÀ
Alla sua compagna solitudine regala un lungo capitolo riuscendo ad addentrarsi, mai pedante, a distinguere la singolarità dallo stare soli. All’esigenza di mettersi da parte per fermarsi e pensare. “Azzardo a dire - confessa - che avere amici è una cosa molto bella, che ti fa sentire in compagnia anche se sei da solo, perché ti basta pensarli e sei felice...».

 
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