Il Tevere è un fiume che può uccidere: difendiamoci

Il Tevere è un fiume che può uccidere: difendiamoci
di Pietro Piovani
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Giovedì 14 Settembre 2017, 00:14 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 06:33
#24Dicembre 1598 
il Tevere esonda: 
è la maggior piena di sempre
@Annabel27034387


Di fronte a ogni catastrofe naturale siamo portati a incolpare l’uomo. Alluvioni e frane ci fanno pensare a una natura ferita che si ribella alla modernità. Gli uomini antichi però sapevano bene che la natura non ha bisogno di essere provocata dai suoi minuscoli figli a due gambe per dimostrarsi una matrigna spietata; e sapevano anche che ci si può difendere dalla sua potenza soltanto con il lavoro, la manutenzione, le opere grandi e piccole. Gli esperti di dissesto idrogeologico ci spiegano che la vera protezione dalle frane non viene dalle foreste incolte, ma dalla coltivazione dei campi e dalla cura dei boschi. Così, ora che l’eventualità di un’esondazione del Tevere viene seriamente presa in considerazione da tecnici e politici, dovremmo ricordarci che la fuoriuscita del fiume è in realtà un fenomeno naturale, e proprio per questo devastante.

Roma è una città nata sui colli che sovrastavano un vasto acquitrino, là dove il letto del fiume disegna due curve ma il corso dell’acqua tende ad andare dritto. Nei secoli gli abitanti sono riusciti a rubare spazio alla palude, sopportando però il prezzo di continue e drammatiche inondazioni: quella del 1598 costò la vita a migliaia di persone, secondo alcune stime morì quasi un romano su dieci. Alla piaga degli allagamenti hanno posto rimedio nell’800 i tanto bistrattati “piemontesi” costruendo i muraglioni, opera infrastrutturale indifendibile secondo gli odierni principi di conservazione del patrimonio architettonico, ma che ha regalato al centro storico della Capitale cento anni senza alluvioni.

Ora i cambiamenti climatici e l’aumento della popolazione urbanizzata rendono insufficiente quel sistema di protezione. Urgono nuove opere, piccole e grandi. Oggi si dice “messa in sicurezza”, ma Giuseppe Garibaldi - ardente sostenitore del progetto per i lavori sul Tevere - usò una parola meno burocratica: “incivilimento”.

pietro.piovani@ilmessaggero.it


(Nella foto, piazza della Rotonda durante una delle ultime alluvioni che hanno colpito la città storica)
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