Jerry Kaplan: «Non abbiate paura dell'intelligenza artificiale, ma alcuni lavori spariranno. I social network? Li odio»

Jerry Kaplan: «Non abbiate paura dell'intelligenza artificiale, ma alcuni lavori spariranno. I social network? Li odio»
di Andrea Andrei
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 11 Ottobre 2017, 18:56 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 12:58

«Prevedo un futuro radioso grazie alle nuove tecnologie». Di certo a Jerry Kaplan, professore della Stanford University, pioniere della Silicon Valley ed esperto mondiale di intelligenza artificiale, l'ottimismo non manca. Ospite della Luiss per presentare l'edizione italiana del suo nuovo libro, Intelligenza artificiale - Guida al futuro prossimo, da domani in libreria, ha discusso con gli studenti in un incontro organizzato da Luiss Open Research, il magazine dell'Ateneo di viale Romania.
 

 

Lei sostiene che alcuni mestieri rischiano di essere sostituiti dall'intelligenza artificiale.
«Tutti quei lavori che hanno specifici obiettivi da perseguire. Dall'imbianchino che deve ridipingere un muro al giardiniere che deve tagliare l'erba di un prato. L'intelligenza artificiale è automazione, in grado di applicare competenze e ottenere risultati. Ma rende possibile anche costruire macchine che percepiscono il nostro ambiente e svolgono compiti complessi, come guidare un'automobile, ma anche effettuare un'operazione chirurgica. Si tratta di sistemi affidabili, che hanno una percezione più completa dell'essere umano. Non c'è nulla da temere, anche se siamo nel momento in cui le persone sono diffidenti. È normale, perché se i vantaggi sono evidenti, i rischi e i problemi non lo sono ancora. Ma come sempre è accaduto, quando l'IA sarà parte delle nostre vite, smetteremo di parlarne. E comunque basta attraversare il traffico di Roma per rendersi conto che non è della guida assistita che bisogna aver paura: eviterà molte vittime della strada».

Forse non ne avranno i pedoni. Ma gli autisti? Che fine faranno?
«I mestieri del futuro richiederanno maggiori capacità di problem solving e di interazione sociale, e penso che chi svolge determinati lavori oggi sarà in grado di reinventarsi domani. Ma niente paura: storicamente il progresso tecnologico ha sempre portato a questo. Mestieri che esistevano fino a trent'anni fa oggi sono completamente superati. Basti pensare ai centralinisti o ai dattilografi».

Però, come scrive lei stesso, se storicamente la maggior ricchezza derivante da questo tipo di progresso ha creato nuovi posti di lavoro, raramente lo ha fatto nel breve periodo. Allora, quanto tempo ci resta?
«È complicato dire quanto velocemente avverrà la rivoluzione. Ero convinto che ciò accadesse nel giro di pochi decenni. Alcuni studiosi di Oxford nel 2013 avevano previsto che in vent'anni il 45% dei lavori negli Stati Uniti sarebbero stati sostituiti dall'intelligenza artificiale. Oggi però penso che non necessariamente questo processo debba essere così rapido».

Eppure le grandi aziende tecnologiche, da Apple a Facebook, ci stanno puntando parecchio. Google ha presentato un altoparlante da salotto, Home, che in cambio di servizi personalizzati ascolta perennemente tutto ciò che succede in casa. Non sembra un po' orwelliano?
«Certo. Molte delle cose previste da Orwell in 1984 sono diventate realtà. Ma nel caso di Google Home, sei tu che decidi se credere o meno al fatto che loro utilizzeranno i tuoi dati solo per offrirti dei servizi. È quello che succede già con gli smartphone».

E non è preoccupante?
«Sì che lo è. Ma il problema non è Google, che cerca solo di vendere un prodotto: certi strumenti possono essere utilizzati dai regimi autoritari. In Cina il governo può attivare il microfono del tuo cellulare e ascoltare le tue conversazioni, e lì le persone trovano strano che negli Stati Uniti ciò sia illegale. È una cosa pericolosissima».

Esiste una soluzione?
«Possiamo solo chiedere ai nostri governi regole più ferree. Certo, la soluzione più immediata sarebbe disconnettersi. La mia banca sa che oggi sono in Italia, perché ho usato la mia carta di credito. Se non avessi voluto farglielo sapere, mi sarebbe bastato non utilizzarla».

Sentir parlare di disconnessione da lei fa un certo effetto.
«È sempre più difficile essere parte della società senza abbandonare almeno in parte il nostro concetto di libertà. Ma dobbiamo adattare la tecnologia a noi stessi. Io ad esempio odio i social network. So che dovrei utilizzarli, ma per me sono solo una distrazione. I miei figli probabilmente sono di un'altra opinione, e va bene così: siamo noi a decidere».

andrea.andrei@ilmessaggero.it
Twitter: @andreaandrei_

© RIPRODUZIONE RISERVATA