Roma e il verde, la denuncia di Rutelli: «Ai miei tempi 400 giardinieri ed erano pochi, oggi sono 100»

Rutelli e la quercia morta di Piazza della Quercia
di Federica Macagnone
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Mercoledì 11 Ottobre 2017, 21:41 - Ultimo aggiornamento: 23 Ottobre, 10:52

Le foreste sono il polmone verde del nostro Paese. Cambiano, si evolvono, vanno protette. Si parla di foreste, ma anche di verde urbano all'XI Congresso nazionale della Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale (Sisef) in programma a Roma fino al 13 ottobre al Cnr: un confronto tra ricercatori, istituzioni e società civile sulle tematiche di più stretta attualità nel settore forestale, alla luce della presa di coscienza da parte del grande pubblico del valore di un patrimonio forestale che rappresenta il 35% del territorio nazionale. Ma il verde è anche parte integrante delle nostre città, delle loro strutture urbanistiche, capace di favorire il benessere dei cittadini e il decoro urbano. E in particolare Roma ha un rapporto simbolico con gli alberi che affonda le sue radici in una storia che si intreccia con la leggenda. A fare il punto sul verde pubblico della Capitale è Francesco Rutelli che, come presidente della fondazione “Centro per un Futuro Sostenibile”, ha ripercorso la storia della città attraverso quelli che sono stati i suoi testimoni, gli alberi che hanno dato nomi a strade, quartieri, vicoli, amalgamandosi con il tessuto urbano.
 


Era il 1992 quando la legge numero 113, la cosiddetta "Rutelli", introduceva l'obbligo di piantare un albero per ogni neonato per incentivare gli spazi verdi urbani. In realtà, negli anni, tale norma è stata poco applicata e i casi virtuosi sono frutto delle iniziative di alcuni amministratori. Oggi la norma ha trovato una nuova forza con legge n. 10 del 14 gennaio 2013, che obbliga i Comuni con oltre 15mila abitanti a piantare un albero (entro sei mesi) per ogni bambino registrato all'anagrafe o adottato e porta alcune modifiche al precedente impianto normativo, per cercare di garantire il rispetto delle norme. «Anche un solo albero, nel contesto urbano, è importante per il contenimento del rumore, ma ha bisogno di essere trattato con scienza e competenza - dice Rutelli - Una serie di problemi l'abbiamo avuta con l'attuazione della legge che porta il mio nome che prevede la messa a dimora di un albero per ogni bimbo che nasce. Come sindaco ho piantato 120mila alberi. Ancora oggi incontro ragazzi che hanno ricevuto il certificato della piantumazione di un albero relativa alla loro nascita».

Ma, quando si parla di verde pubblico, non può e non deve mancare l'attenzione alla manutenzione, spesso scarsa e poco efficiente. «Quando ero sindaco c'erano 400 giardinieri - continua Rutelli -. Oggi Roma ha un territorio di 130mila ettari e solo 100 giardinieri che devono curare le alberature relative alla viabilità, le siepi, gli spazi verdi, le ville storiche. Quando sono andato al Senato francese, ho visto che solo per i Jardin du Luxembourg vengono impegnati 70 giardinieri, pagati dal Senato. A Roma le problematiche esistono perché non c'è manutenzione, non viene programmata e non viene messa al centro dei valori della nostra convivenza».

E se oggi i problemi di manutenzione comportano problematiche tristemente note, nella storia di Roma gli alberi hanno avuto un ruolo permeante. «La madre di Romolo e Remo era Rea Silvia e i colli portano nomi di alberi - racconta Rutelli nel suo excursus storico - C'è sempre stato un rapporto simbolico: Roma è una città boscosa che con il tempo è stata deforestata con l'antropizzazione. Dopo la caduta dell'Impero, i cristiani demolirono iconoclasticamente gli idoli degli imperatori, ma cancellarono anche i boschi sacri, nel furore distruttivo di annientare le tradizioni pagane che Roma aveva saputo conservare. Tutti i grandi tracciati urbani, la stessa Appia Antica, si accompagnano a momenti di tutela di nuclei arborei che affondavano le loro radici in tempi antichi».

Un rapporto simbolico tangibile anche attraverso la toponomastica, che ha radice arborea. «A via del Boschetto c'era effettivamente un boschetto piantato dal cardinale Gonzaga. A vicolo del Pino, invece, non c'era un pino, ma il nome deriva da una famiglia. Uno dei grandi dibattiti è se Piazza del Popolo si chiama così per il popolo o per il populus, ovvero il pioppo: la tesi più ragionevole è che sia legato al nome della chiesa. Ma questo fa capire come l'intreccio sia infinito. Vicolo dell'arancio non ne ha mai visto uno, ma prende il nome da un arancio dipinto in una delle finestre in un'ala di Palazzo Borghese che fu buttato giù. Se parliamo di toponomastica nostalgica non si può non accennare alla quercia di Santa Maria della Quercia a Roma: oggi è stata sradicata e c'è un cartello in cui si promette la ripiantumazione. Stessa cosa al cosiddetto Alberone da cui prende il nome un intero quartiere: è venuto meno, è stato sostituito e adesso è in atto un terzo tentativo. C'è una cosa di cui, da sindaco, sono orgoglioso: si tratta di via dell'Olmata, dove abbiamo sistemato, nell'ambito della riqualificazione della piazza di santa Maria Maggiore, degli olmi».

E se si parla di come passa la gloria nel mondo e si ha nostalgia per il verde pubblico (curato) non si può non citare alcuni versi di Trilussa: «L'Alloro dice: - Poveretti noi! Dove so' annati queli tempi belli quanno servivo a incoronà l'eroi? Ormai lavoro pe' li fegatelli». 

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