Festa nazionale in Spagna, il corteo sfila davanti a Re Felipe per difendere l'unità del paese, scontri fra ultrà a Barcellona

Festa nazionale in Spagna, il corteo sfila davanti a Re Felipe per difendere l'unità del paese, scontri fra ultrà a Barcellona
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Giovedì 12 Ottobre 2017, 16:16 - Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 12:37

C'è aria da tregua armata, almeno per un paio di giorni, nell'infinita crisi catalana, complice anche la Festa nazionale spagnola della Hispanidad e il ponte del Pilar, che ha visto catalani e spagnoli fuggire dalle città e dalla politica per mari e monti. La Spagna ha celebrato con la solita pompa la festa dell' esercito, con una sfilata militare - fra grida di «Viva el Rey» e «Viva Espana» della folla - in Paseo de la Castellana nel cuore di Madrid davanti a re Felipe VI, alla famiglia reale, al premier Mariano Rajoy e alla classe politica al completo. O quasi.

Fra le autorità mancava il presidente catalano Carles Puidgemont, a ricordare il conflitto in corso, la più grave crisi istituzionale della Spagna del dopo Franco. Segno delle tensioni che fanno scricchiolare la Spagna, mancavano anche il premier basco Inigo Urkullu e il leader di Podemos Pablo Iglesias. Una festa che si è svolta all'ombra della crisi catalana e che è stata turbata dalla caduta, mentre tornava alla base, di uno degli aerei che avevano partecipato alla sfilata. Il pilota è morto. La contestazione di una Catalogna che si sente già con un piede fuori è venuta anche dal territorio.

Oltre 100 comuni catalani hanno rifiutato di chiudere per celebrare la festa nazionale spagnola. Fra i ribelli anche Girona e Badalona. Si sono inoltre verificati scontri fra estremisti di destra durante la marcia a Barcellona contro la secessione della Catalogna organizzata oggi dai movimenti unionisti. La Vanguardia riferisce che due gruppi ultrà delle tifoserie di due diverse squadre di calcio si sono affrontati in Piazza Catalunya lanciandosi fra l'altro sedie e tavolini della terrazza di un caffè. Un agente della polizia urbana è stato ferito leggermente.

Nella marcia di Barcellona sono scesi in piazza 65mila unionisti per contestare la linea della secessione del governo catalano al grido di «Puigdemont in prigione». Una prospettiva non impossibile per il President Carles Puigdemont. Interrogato da una tv francese su un possibile arresto del leader catalano, il ministro degli esteri spagnolo Alfonso Dastis si è limitato a rispondere «speriamo di non arrivare a questo. Dipende da lui». Fra i due fronti sembra però scoppiata una surreale fase di calma dopo i picchi di tensione di martedì e mercoledì con la dichiarazione di indipendenza sospesa di Puigdemont e l'ultimatum che gli ha lanciato l'indomani Rajoy: «correggere» entro giovedì o scatta l'applicazione dell'articolo 155. Con la sospensione dell'autonomia catalana e la possibile destituzione del Presidente.


 

 

E quindi con un possibile effetto esplosivo in Catalogna. Dietro i gesti muscolari sembra però che i due contendenti non abbiano fretta di arrivare al regolamento di conti finale. Nella speranza di poterlo evitare. Così, dopo uno psicodramma dietro le quinte con gli alleati della Cup, Puigdemont ha deciso martedì di sospendere la dichiarazione d'indipendenza per favorire un «dialogo senza condizioni». E così Rajoy, sotto pressione da tempo per usare il pugno di ferro contro la Catalogna, ha avviato la procedura del 155, ma allungando al massimo i tempi. Nel peggiore dei casi, se la risposta di Puigdemont non sarà «quella giusta» auspicata da Rajoy, il 155 non potrà essere usato, per i tempi tecnici, prima di fine ottobre. Tutto tempo guadagnato per una possibile intermediazione che eviti uno «scontro fra treni» con conseguenze imprevedibili per il futuro del paese. Rajoy, «dopo il freno, il 155 lento» titola La Vanguardia. 

«Rajoy come Puigdemont hanno scelto di guadagnare tempo» rileva El Periodico segnalando che dietro le dichiarazioni di facciata «qualcosa si è mosso»: «otto giorni di tempo, dopo la tensione dell'ultimo mese, è un mondo».
Dietro le quinte si muovono diversi potenziali mediatori, dalla Chiesa al basco Urkullu, alla società civile catalana. «Il margine rimane molto sottile - avverte El Periodico - però è già molto rispetto a 48 ore fa quando eravamo sul bordo del precipizio. È l'ora del disgelo, della politica e della responsabilità».

 

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