Il ruolo Capitale/ Dall’autoesclusione alla consapevolezza

di Mario Ajello
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Venerdì 24 Novembre 2017, 00:17
Battibeccano Beatrice Lorenzin e Virginia Raggi. Si punzecchiano a proposito dell’Ema. 
E il loro contraddittorio esemplifica e conferma quanto fosse giusta la denuncia di questo giornale sull’inerzia mostrata da ambo i lati, da parte del governo della Capitale e del governo nazionale, nella cruciale partita sulla sede dell’agenzia del farmaco. «Grandissimo errore - dice la Lorenzin alla Raggi - non aver candidato Roma come sede Ema. Avevate chance». «Io volevo quell’agenzia», replica la Raggi. «Non l’hai chiesta», punge la Lorenzin, sottolineando il protagonismo di Milano. Un botta e risposta che riassume il travaglio, addirittura il dramma, che si è vissuto in questi mesi Roma. E che evidenzia in maniera clamorosa un paradosso: la Capitale d’Italia non è stata la priorità, nella gara per aggiudicarsi un’istituzione internazionale di grande rilevanza, per nessuna delle due parti. Né per il governo capitolino né per il governo nazionale. Dalle reciproche stoccate tra le due protagoniste, emerge poi un altro dato di primaria importanza: la necessità, da ora in poi, di adottare un metodo del tutto nuovo e di imboccare un percorso più partecipato, per riportare Roma in primo piano. 
<HS9>L’iniziativa del ministro Calenda, che sta sudando sette camicie attorno al tavolo per Roma, può essere lo strumento per creare quell’approccio virtuoso e quello spirito di sintonia e di sinergia che sono mancati tra le varie istituzioni nel caso Ema. Il gioco di squadra deve diventare l’imperativo pragmatico per le prossime sfide a cui Roma non può rinunciare. Soltanto questa compattezza può permettere alla Capitale italiana di rivendicare, e di poter ottenere dall’Europa, ciò che le è massimamente dovuto. In termini di rispetto, di risorse finanziarie, di peso politico e di centralità nel sistema e negli equilibri continentali. Dalla sindrome da auto-esclusione, che è sinonimo di mancato orgoglio, occorre passare alla piena coscienza e dimostrazione delle proprie possibilità. E l’Europa non avrà più l’alibi per guardare altrove. 
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