Ma chi argomenta con toni così preoccupati e allarmistici dovrebbe prima spiegare quali siano i settori della società italiana o gli attori politici interessati al riscatto pubblico della monarchia o schierati a difesa della sua memoria. Nell’Italia repubblicana odierna, che pure ha così tanti problemi e difetti, davvero non sembra esserci traccia di nostalgie o simpatie monarchiche. Per quanta avversione si possa nutrire nei confronti della casta partitica e dei politici di professione, nessuno sinora si è spinto sino a rimpiangere la Corona o a invocare il ritorno sul trono dei Savoia.
Non parliamo poi del rischio di trasformare l’ex re d’Italia, colui che dopo l’8 settembre lasciò Roma per rifugiarsi a Brindisi con la corte, come lo si ricorda ancora oggi nell’immaginario popolare con un misto di biasimo morale e riprovazione politica, in un “eroe” o in un “martire”, secondo la preoccupazione davvero esagerata espressa ieri dal presidente delle Comunità ebraiche d’Italia Noemi Di Segni.
A chiedere con veemenza un’impossibile e inopportuna tumulazione del “piccolo Re” all’interno del Pantheon romano, che significherebbe attribuirgli la qualifica storica immeritata di padre della patria, sono stati – peraltro in polemica con altri membri della loro stessa famiglia, favorevoli alla sua tumulazione nel santuario piemontese di Vicoforte – soltanto Vittorio Emanuele IV e suo figlio Emanuele Filiberto: una posizione legittima sul piano sentimentale, ma non si può dire che le loro due voci siano tra le più politicamente accreditate e autorevoli del panorama pubblico nazionale.
Questa vicenda dimostra ancora una volta come gli italiani continuino ad avere un rapporto contraddittorio con la propria storia: la conoscono poco, tendono ad appropriarsene (e a rimuoverla) selettivamente, la usano sovente come arma polemica nel presente, provano nei suoi confronti un misto di paura e vergogna. Anche quando non se ne avrebbe motivo: giusto ad esempio condannare le leggi razziali, ma perché provare un simile sentimento per aver fatto e vinto la Grande Guerra? Il che spiega la debolezza del loro sentimento collettivo e l’identità zoppa che li caratterizza. Anche questa volta è tornato fuori, del tutto impropriamente, il problema della riconciliazione tra italiani, come se questi ultimi fossero sempre all’indomani di una guerra civile. Il problema in realtà è quello della riconciliazione degli italiani con la loro storia e il loro passato. Farsene carico non vuol dire approvarlo, condividerlo o andarne orgogliosi: vuol dire essere consapevole di ciò che, nel bene e nel male, ci ha fatto diventare ciò che siamo.
Da questo punto di vista la scelta di Mattarella di avallare in modo discreto ma fermo il ritorno in patria delle salme degli ex-sovrani può essere considerata un invito agli italiani, per dirla con una formula, a ricordare tutto senza dimenticare nulla. Una forma di pedagogia civile improntata al rispetto della storia e al dovere della memoria, improntata alla moderazione, diversa dall’enfasi celebrativa di stampo risorgimentalista che ha caratterizzato, ad esempio, la Presidenza di Carlo Azelio Ciampi. Ma egualmente finalizzata ad evitare che la storia d’Italia (in particolare quella dell’Italia unita) divenga oggetto di manipolazioni ideologiche o di colpevoli omissioni. Gli errori e le colpe di Vittorio Emanuele III, ad esempio, non possono valere come una condanna sull’operato storico di Casa Savoia e non possono far dimenticare il ruolo da essa svolto nel processo di nascita e costruzione dello Stato nazionale. Così come è troppo facile gettare solo sulla monarchia la responsabilità storica d’aver spianato la strada al fascismo, che se non dispiegò appieno il proprio potenziale totalitario forse fu proprio anche per la diarchia cui Mussolini fu costretto dalla presenza del Re.
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