Atac, c'è il rischio stop. Colomban: «M5S blocca il salvataggio»

Atac, c'è il rischio stop. Colomban: «M5S blocca il salvataggio»
di Lorenzo De Cicco
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Giovedì 11 Gennaio 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio, 14:34

«Io alla Raggi lo avevo detto subito, due mesi dopo la nomina in giunta: per salvarsi Atac non può restare al 100% in mano al Campidoglio, è una società con troppi problemi. E lo stesso vale per l’Ama, l’azienda dei rifiuti. Ma hanno prevalso le direttive del Movimento, diciamo. Se il concordato fallisce, ci sarà l’amministrazione straordinaria, con l’intervento del governo». A parlare è Massimo Colomban, il manager vicinissimo a Casaleggio che fino al settembre scorso è stato uno dei più potenti assessori del Campidoglio pentastellato, con la pesante delega delle partecipate, anello di congiunzione tra la sindaca e i vertici nazionali del Movimento. Ora che ha lasciato l’ufficio a Palazzo Senatorio, dice la sua liberamente sulla gestione delle municipalizzate da parte della giunta grillina, a cominciare dal grande malato, Atac.

Ieri l’assessore ai Trasporti di Roma, Linda Meleo, ha detto che se il concordato fallisse, dal giorno dopo bus e metro sarebbero a rischio. Poi ha fatto retromarcia. Era un rischio calcolato, quando si è deciso di rivolgersi al Tribunale fallimentare?
«Mi conceda una premessa: io ho piena stima di Paolo Simioni, che ha collaborato con me prima di essere nominato presidente e ad di Atac, e lo stesso dico di Cristiano Ceresatto, altro bravissimo manager che fa parte del cda. Sono persone di cui conosco il grande valore e so che stanno facendo il massimo per salvare l’azienda, con tutte le difficoltà che ci sono».

Ecco appunto, le difficoltà sono tante. La scelta del concordato era la via migliore per salvare la società dalla bancarotta?
«Guardi, secondo me per salvare Atac serve un partner industriale, non può restare in mano al Comune al 100%. E lo stesso vale per Ama. È inutile mantenere tutto pubblico, se poi non si può offrire la qualità dei servizi. Questo è un giudizio che ho espresso dopo due mesi che ero nella giunta di Roma, l’ho detto anche alla sindaca. All’epoca Simioni era d’accordo, poi...».

Poi?
«Poi sono prevalse le logiche del Movimento, c’è stata una direttiva superiore, che diceva: no, dobbiamo ristrutturare con le nostre forze, la società deve rimanere al 100% del Comune. Il problema è stato questo».

Di che tipo di socio avrebbe bisogno Atac? Un socio privato?
«Privato, anche, ma io in realtà pensavo a un matrimonio con le Ferrovie. Deve essere un partner efficiente, che abbia risorse, management e capacità organizzative. È difficile altrimenti intervenire, considerato lo stato in cui sono state portate le società. Atac per anni è stata gestita male ed è stata ereditata in un momento difficile, con metà degli autobus da rottamare. È come avere una fabbrica con metà delle macchine operative».

Il piano industriale di Atac prevede l’aumento dell’orario di lavoro da 37 a 39 ore settimanali. Basterà per rendere produttiva un’azienda invischiata in una crisi così profonda?
«Due ore in più non sono determinanti, serve un mix di azioni positive che devono essere attuate in contemporanea. Il lavoro che ha Simioni davanti è gigantesco, lui è un manager estremamente capace, ha ristrutturato brillantemente altre aziende, ma nessuno fa miracoli, non è che resuscitano una società che non ha le risorse sufficienti, che non ha i mezzi produttivi adeguati, che forse non ha, mi permetta, manager all’altezza».

Atac può fallire, come ieri ha paventato l’assessore ai Trasporti?
«Atac non può fallire, un servizio indispensabile come i trasporti non può essere interrotto».

Che succede allora, se il concordato fallisce?
«C’è l’amministrazione straordinaria, con il governo».

A questo punto, per M5S non sarebbe un fallimento?
«Io credo che il problema di Roma non stia nei miracoli che la sindaca può fare oggi. Serve un intervento complessivo che coinvolge l’intero Movimento, che non può proteggere i sindacati.

Certe sigle, in Atac, per anni l’hanno fatta da padroni. L’inefficienza delle partecipate poi la pagano i cittadini, perché i servizi non girano. Le faccio un esempio: in Ama il 23% dei dipendenti sostiene di avere disabilità fisse o temporanee, contro il 2-3% che avviene nelle aziende private. Non servono commenti, credo».

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