Italia-Francia, disegno condiviso per il futuro dell’Europa

di Biagio de Giovanni
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Venerdì 12 Gennaio 2018, 00:05
Le elezioni italiane capitano nella fase più problematica che il processo di integrazione europea abbia conosciuto dalla sua nascita. Le affermazioni assolute, in punto di politica, sono sempre discutibili, ma l’impressione che sia proprio così è data da due eventi che vanno visti nella loro connessione: l’ uscita dell’Inghilterra dall’Unione in una trattativa avvolta da difficoltà estreme, e, in coincidenza non prevista, la paralisi politica della Germania, oggi resa esplicita dalla dichiarazione assai pessimistica della Merkel sull’esito delle trattative per un nuovo governo. Insomma, la grande coalizione fra socialdemocratici e cristiano-sociali proprio non riesce a emergere dalle trattative. 

Ora, al di là delle chiacchiere quotidiane che dilagano intorno a una idea di politica fatta di incontrollate promesse, affidate, con ogni cura possibile, a non-politici di professione, si dà il caso che proprio la politica nel suo significato più nobile e serio dia forma alla storia e al destino delle società. E la cosa diventa chiara quando, dal farfuglio quotidiano e per davvero mortificante di un dibattito pubblico privo di idee, come quello che si è avviato da noi, d’improvviso i grandi temi emergano dalla confusione, come squadernati dal corso stesso delle cose, imposti dall’accelerazione degli eventi. I politici improvvisati (guai oggi a esser professionista politico! corrisponde a far parte della zona corrotta della società, e questo senso comune dilaga) non se ne accorgono, e contuinuano a farfugliare le loro promesse. 

Ora, sollevando lo sguardo appena più in alto, ci si avvede che l’Europa, già divisa in tanti pezzi, non ha, allo stato, nessun centro cui far vero riferimento, e ci si avvede di un’altra cosa che la storia non ha quasi mai mancato di confermare: senza l’Inghilterra, simbolo del Mare, della libertà, e senza la Germania, simbolo aspro della Terra, l’identità europea perde un punto di tensione dialettica che ne ha fatto in gran parte la storia moderna, pure quella più tragica. Ma, uscita l’Europa dai vincoli terribili di quella storia ed entrando essa nel campo di una definitiva pace concordata, quella tensione era più che mai necessaria per dar corpo a una identità piena di senso e perfino ricca di fini della storia.

Non sto sottovalutando gli altri protagonisti della storia d’Europa, e soprattutto Francia e Italia, ma ho inteso avviare questa mia rappresentazione del problema ponendo lo sguardo su una tensione che ha dato vita a una identità, e oggi sulla sua crisi profonda. La politica ha bisogno di egemonia, in essa non c’è nulla di spontaneo e di improvvisato: l’uscita dell’Inghilterra nella confusione, la paralisi tedesca di cui non si vede fine, e che ha un significato straordinario dopo tanti decenni di stabilità, pur fenomeni evidentemente diversi, sono problemi che mettono in discussione il senso dell’integrazione. Sulla Germania, e sulla sua egemonia, si può dire criticamente tutto quello che può essser necessario dire, fuor che rinunciare a una sua centralità: più instabile la Germania, più instabile l’Europa. 

Ecco dunque comparire gli altri protagonisti, Francia e Italia, e proprio ieri, il lungo incontro tra Macron e Gentiloni, e l’avvio di un trattato tra i due Stati per rafforzare la reciproca intesa. Ascoltandoli, nella conferenza stampoa successiva all’incontro, si è respirato un po’ d’aria pulita, si è come usciti (parlo di me, naturalmente) dall’intossicazione quotidiana e invadente, in presenza di notiziari che spesso fulminano l’ascoltatore con notizie immeritevoli di esser perfino nominate, ma che , gonfiate, dovrebbero portar voti a qualche parte politica. Ma tant’è, così vanno le cose, soprattutto quando si incrina la mediazione tra politica e società. Ora, ascoltando i due uomini politici, ho cercato di mettere un po’ d’ordine nelle idee e di introdurre anche un po’ più di speranza nella prospettiva europea. Si disegna un’alleanza che può far da freno alla crisi. L’idea di un Trattato bilaterale pare ottima, oggi sono necessarie intese così che diano il senso di convinzioni comuni tra stati nazionali e, insieme, integrati. Come avviene in questi casi, nessuna decisione, ma l’intenzione dichiarata di mettere un freno alla disgregazione. Siamo qui, hanno detto, e Macron ha più volte pronunciato la parola Europa-potenza. 
Parole, parole, si può dire, ma ormai quella direzione è segnata, e la lotta culturale che va svolta nei confronti dei più diversi populismi, che invadono una scena desertificata dalla politica, va svolta sotto quella insegna che indica anzitutto più unità integrata e differenziata, un terreno disseminato di trappole, ma che forse andrà tentato. Nella lontananza inglese, nella incertezza tedesca, Francia e Italia compaiono sulla scena in vesti più autorevoli. La Francia solidamente di Macron; l’Italia di chi dopo il 4 marzo? Gentiloni la ha rappresentata con molta temperanza, strappando a Macron un auspicio discreto sul risultato italiano, e vorrei aggiungere questo: scontato il carattere di una campagna elettorale carica di colpi e contraccolpi, e non si vive così nelle nuvole da non capire che questo avviene sempre, ma che l’elemento emozionale oggi ha uno spazio enorme, e che la falsa notizia sia spesso l’unica considerata vera; scontato tutto ciò, si può auspicare che la parte più politicamente responsabile non insegua i populismi, modalità sicura per perdere il voto e farlo vincere a chi si insegue, ma incominci a parlare di cose serie, di politiche necessarie, di sacrifici da fare, nella prospettiva di un futuro difficile e insieme affascinante. Concretezza, proposte, risposte a problemi precisi, ma tutto innervato in una idea, in un progetto di Italia che il corso degli eventi ricolloca più al centro di Europa di quanto non fosse prima. Penso che chi agirà così, sia anche destinato a prevalere nel voto.
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