Tenera è la notte per chi crede nel citofono

Tenera è la notte per chi crede nel citofono
di Davide Desario
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Martedì 13 Febbraio 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 23:21
A Roma bussano 
al citofono e non rispondono
@MARSJST


È notte. Le auto riposano parcheggiate dove capita. Soltanto una continua a girare, rallentare, inchiodare per poi accorgersi che il posto è preso da una Smart e quindi continua a girare.

Nella strada c’è un cantiere che racconta di un futuro migliore ma di un presente difficile. Passano in pochi e sembrano tutti zombi con lo sguardo incollato al cellulare: non guardano parchi, non guardano antiche colonne romane. Poi vedo un ragazzo: cammina trascinando una valigia. Ha lo smartphone in mano e chiama e richiama ma nessuno gli risponde. Cammina. Si ferma. Poi digita velocemente sulla tastiera del suo telefono. Chissà a chi manda quei messaggi. Fa freddo. Arriva davanti a un portone. Scorre i nomi sui citofoni e poi suona. Ma non gli rispondono. Si guarda intorno. Alza il bavero del cappotto. Intanto anche l’ultima auto ha trovato parcheggio. Il ragazzo è solo. Riprova a telefonare. Niente. Sta per allontanarsi. Poi si ferma. Torna indietro. Citofona ancora per l’ultima volta. E il portone si apre. Lui scompare in quel palazzo e nell’abbraccio di chi gli ha aperto.

È mattina. Sono in un bar di quella piazza. Entrano ed escono nuovi zombi con il cellulare in mano. Ma ecco entrare quel ragazzo della notte precedente. Ordina due cappuccini e due cornetti: se li fa sistemare in un vassoio e va via. Lo seguo con lo sguardo e lo vedo rientrare nel portone. Sono felice per lui e per chi gli ha aperto. Sono veri. Sono vivi. E credono ancora nel citofono.

davide.desario@ilmessaggero.it
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