L'emoji con il pollice come ok al contratto: in Canada scoppia il caso di un agricoltore (che fa causa)

In Canada un agricoltore ha risposto con un pollice all'insù sul cellulare ad una proposta di fornitura. Ma era solo per una "presa visione". Il carico è arrivato e lui ha fatto causa

L'emoji con il pollice come ok al contratto: in Canada scoppia il caso di un agricoltore (che fa causa)
di L. Jatt.
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Domenica 9 Luglio 2023, 16:47 - Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 14:55

Si parla in questi giorni di Pec e dei cambiamenti che avverranno riguardo alla firma digitale e alla validità della Pec non solo come posta ma anche come documento identitario. E proprio in questi giorni dal Canada arriva una sentenza in grado di far accapponare la pelle ai più intransigenti fautori di Pec, identità digitali e protocolli burocratici affini: anche un’emoji, infatti, può essere considerata una valida firma su un contratto. Ne è rimasto sorpreso anzitutto Chris Achter, agricoltore della provincia di Saskatchewan che nel 2021 si era visto recapitare direttamente sul cellulare, tramite un semplice messaggio di testo, una proposta per la fornitura di 87 tonnellate di lino da parte di una cooperativa del posto. La sua replica? Un rapido quanto informale pollice in su, rivelatosi poi il pomo della discordia tra le due parti in causa.

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L' EMOJI

Secondo quanto riferito dal diretto interessato, con l’emoji in questione l’uomo intendeva semplicemente dare conferma di presa visione.

Purtroppo per lui, la cooperativa l’aveva però interpretata come una completa e definitiva accettazione dei termini. Il malinteso era quindi emerso quando i cereali non erano stati consegnati entro la data prevista, il che aveva fatto finire la vicenda in tribunale. Due anni più tardi – ovvero l’8 giugno scorso –, il giudice Timothy Keene ha dato ragione alla ditta. Pur riconoscendo che «non è un modo tradizionale di firmare», ha infatti stabilito che il pollice in su costituisce ugualmente «un metodo valido in queste circostanze». Risultato: Achter dovrà ora pagare un risarcimento di 82.200 dollari canadesi (oltre 56 mila euro, al cambio attuale). Alla base della decisione, anche il fatto che l’agricoltore avesse già più volte risposto ai messaggi della cooperativa con espressioni colloquiali come «Yup», «Ok» o «Sembra buono». E tutto era sempre filato per il verso giusto. «La Corte non può, né dovrebbe, tentare di arginare la tecnologia», ha poi aggiunto Keene, secondo cui questa è «la nuova realtà» con cui la giustizia è ormai chiamata a confrontarsi. Ora bisognerà vedere cosa accadrà secondo le altre legislazioni mondiali.

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