Yehoshua: «Sicilia, terra di pace»

Yehoshua: «Sicilia, terra di pace»
di Francesco Musolino
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Giovedì 29 Giugno 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 3 Luglio, 08:52

«A dicembre compirò ottantuno anni, il tempo che ci resta è ciò che conta di più, lo sa?» e poi si lascia andare ad una risata lieve, in puro stile yiddish. Abraham Yehoshua è appena tornato a Gerusalemme di ritorno dalla Sicilia, ospite di prestigio della settima edizione del festival letterario internazionale TaoBuk. Considerato il maggiore scrittore israeliano contemporaneo, Yehoshua è l’autore di numerosi capolavori della letteratura occidentale - dall’esordio con “L’Amante” (1977), a “Il Signor Mani” (1990) e “La sposa liberata” (2001) – sino al recente “La Comparsa” (tutti i suoi libri sono editi da Einaudi) in cui ha sviscerato il tema della maternità: «scegliere di non fare figli è un atto contro natura che sovverte la società». 

Domenica scorsa, proprio a Taormina ha tenuto una lectio magistralis sul tema “Padri e figli nella tradizione biblica cristiana”, rileggendo la questione da un punto di vista in chiave secolare, cogliendo l’occasione, con la sua voce dal timbro basso e vigoroso, per prendere il pubblico in contropiede: «non credo in Dio, rispetto la fede ma è tutto nelle nostre mani». Tristemente abituati a scrittori che talvolta sin dal primo romanzo si atteggiano a star e assumono comportamenti urticanti - tanto con la stampa che con i lettori - ciò che colpisce di Yehoshua è il suo naturale desiderio di stare in mezzo ai lettori, di fermarsi a parlare delle sue origini davanti ad un caffè con la convinzione che tutto, oggi più che mai, passi dal Mar Mediterraneo e dalla Sicilia, crocevia dei nostri destini.

Nella sua Lectio a Taormina ha lanciato un messaggio rivoluzionario sul tema dell’identità. Vuole riassumercelo?
«Sono convinto che la nostra società abbia bisogno di confini ma soprattutto di porte che si aprono, rivolte verso il futuro. La Sicilia è al centro dell’identità mediterranea, un punto nevralgico sia per i paesi mediorientali che per quelli nord africani. Voglio essere chiaro, il Mediterraneo è un crocevia di identità arabo-giudaiche-cristiane e nessuno può voltarsi dall’altra parte e ignorare i barconi con i migranti, persone in cerca di speranza». 

Europa e Usa che ruolo possono giocare?
«L’Europa è in crisi – lo è anche l’Italia ovviamente - e l’America si sta rinchiudendo su sé stessa, con una politica estera isterica che sta contribuendo attivamente a creare caos in Medioriente. E personalmente non sono affatto favorevole al fatto che la sorte di Israele sia legata a doppio nodo alla politica americana, è troppo rischioso isolarsi e muoversi in modo speculare. L’Europa ha bisogno di una guida e se la Germania e la Francia possono esserlo da un punto di vista economico, dev’essere l’Italia a guidare la rinascita culturale dell’Unione Europea. La Sicilia è il punto strategico da cui ripartire, anche per risolvere il conflitto arabo-israeliano senza preconcetti sui due stati, ma perché ciò avvenga è necessario che l’Italia investa risorse economiche in questa isola, spesso lasciata colpevolmente in secondo piano».

Parliamo di scrittura. Nei suoi libri c’è sempre grande attenzione ai temi legati alla famiglia, come mai?
«Mia moglie è morta appena otto mesi fa ma noi abbiamo avuto un matrimonio che è durato ben cinquantasei anni e ciò mi ha dato un terreno fertile perché la famiglia, non solo il matrimonio, fosse uno dei punti chiave per risolvere o far esplodere i conflitti e decollare le storie. Oggi va di moda attaccare il matrimonio nei film o nei libri, ma tutto parte da lì, da ciò che accade fra le mura domestiche, dopo aver lasciato il mondo fuori».

A proposito, perché Noga (la protagonista de “La Comparsa”) sceglie di non avere figli?
«È la decisione che la metterà in contrasto con tutti i familiari. Nessuno capisce perché una donna, una musicista di 42 anni in salute, decida di non voler fare figli e personalmente la ritengo una scelta contro natura visto che ha al suo fianco un marito che ama. Ma è ciò che sta accadendo in Europa oggi. Molte coppie non si sentono pronte a costruire una famiglia, terrorizzate dalla crisi economica ma così facendo si interrompe il ciclo vitale naturale. Brutalmente le dico che oggi i politici aprono le frontiere ai rifugiati anche per avere nuova forza lavoro ma così facendo stiamo solo ignorando il problema, voltando le spalle al futuro».

Cosa significa per lei scrivere? Lei scrive per fare la differenza?
«Non ho scelto io di fare lo scrittore, è stata la scrittura a scegliermi e sono certo e ciò vale per ogni artista. In qualche modo, lentamente, ho iniziato a scrivere, il pubblico mi ha seguito e con le storie ho raccontato la realtà sotto i miei occhi ed è ciò che da decenni mi dà da vivere, fortunatamente. Ogni libro che ho scritto è diverso, ogni storia è unica ma sono loro a venirmi a cercare, a spingermi a scrivere. Ciò detto, non saprei dirle se scrivo per fare la differenza, tuttavia ogni atto è un gesto politico, ogni decisione dev’esserlo necessariamente. Raccontare l’identità israeliana e la diaspora è un tema che tocca molti dei miei personaggi ma quando ci rivolgiamo al passato dobbiamo farlo senza nostalgia altrimenti rischiamo di non capire come evolve la realtà, finendo per smarrirci».

Lei non crede in Dio?
«No, non credo in Dio ma rispetto tutti i luoghi di culto e chi sente una sincera fede. Dio non mi ha mai parlato, lo ammetto candidamente e ciò a mio avviso significa solo una cosa. Il destino è tutto nelle nostre mani. Nel bene e nel male». 
 
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