Alitalia, sconcerto del governo: commissario in arrivo

Alitalia, sconcerto del governo: commissario in arrivo
di Marco Conti e Umberto Mancini
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Martedì 25 Aprile 2017, 00:07
ROMA Preoccupato per la bomba sociale innescata dal fallimento di Alitalia, sono 12.500 i posti a rischio, il governo si prepara al peggio nella consapevolezza che Alitalia è un’azienda privata e che sarà il cda a decidere i prossimi passi. Ovviamente non fa piacere perdere un asset strategico per il turismo e l’economia del Paese, o almeno così era considerata la ex compagnia di bandiera, dopo aver tentato in tutti i modi di evitare il default, mediando tra azienda e sindacati, banche azioniste ed Etihad. Nemmeno l’appello del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, lanciato forse a giochi già fatti, è riuscito a frenare la valanga dei no che ha seppellito il piano di salvataggio, affossando definitivamente le velleità di riscatto della compagnia.

Un referendum, quello lanciato dai sindacati tra i lavoratori, che viene considerato come una mossa forse azzardata anche per il comportamento quantomeno ambiguo di alcune organizzazioni sindacali. Uil-trasporti in testa. Perché ora, ad urne chiuse, all’esecutivo non spetta che attendere le decisioni del consiglio d’amministrazione e dell’assemblea dei soci che chiederanno al governo la nomina di un commissario liquidatore che gestirà le procedure di amministrazione straordinaria, cercando un eventuale acquirente o, cosa più probabile, vendendo a pezzi l’azienda. Anche di questo si è parlato nel vertice a Palazzo Chigi di ieri sera tra Paolo Gentiloni e i ministri Calenda, Delrio e Poletti. Tutti d’accordo nella linea espressa nei giorni scorsi a più riprese dai ministri interessati. Ovvero che non c’è e non ci sarà un piano B e che nessuna ipotesi di nazionalizzazione è possibile. 

PORTA STRETTA
Tantomeno è pensabile possano affacciarsi investitori interessati ad acquistare in blocco l’azienda che invece possono rilevare a pezzi nel momento in cui il commissario procederà alla liquidazione nei sei mesi di tempo previsti dalla legge.
Oltre la legge non lo prevede e il governo non intende andare. La convinzione è che dopo aver messo quasi dieci miliardi in Alitalia negli ultimi anni non sia più possibile chiedere ai contribuenti altre risorse. Senza contare che le casse dello Stato saranno chiamate a tirar fuori quasi cinquecento milioni per le procedure di commissariamento. Alla cifra andranno anche aggiunti altri cinquecento milioni per gli ammortizzatori sociali per le migliaia di dipendenti, per lo più di terra, che ne avranno diritto. Da una prima analisi del voto sembra che a determinare la prevalenza dei “no” siano stati piloti e assistenti di volo che in questo modo hanno detto no al taglio dello stipendio dell’8%, sperando forse in un altro piano “Fenice” che il governo non solo non intende mettere in atto, ma che l’Europa vieterebbe. Ipotesi di nazionalizzazioni, più o meno camuffate, non sono all’ordine del giorno e ieri pomeriggio tutti i ministri si sono ritrovati sulla linea del presidente del Consiglio. Lo sconcerto per il risultato e l’accusa a qualche sindacato di aver giocato su più tavoli avendo prima impedito la firma di un accordo (ai lavoratori è stato infatti sottoposto un pre-accordo) «per qualche manciata di tessere in più», non cambia però il risultato e non muta le conseguenze.

I PROSSIMI PASSI
Il futuro della compagnia di bandiera, che non è più tale da quando è stata privatizzata, è ora nelle mani del consiglio d’amministrazione che, come accennato, chiederà il commissariamento dell’azienda e in breve la sua messa in liquidazione. Pur rispettando l’esito della consultazione, la vittoria del “no” viene considerata «una follia» dal governo perché a fronte di qualche sacrificio, l’esecutivo era riuscito a bloccare il primo piano di esuberi presentato a dicembre (4.000 dipendenti in meno) e a convincere gli investitori a mettere sul piatto altri due miliardi. E’ quindi probabile che già nella giornata di oggi venga convocato il cda per la richiesta dell’amministrazione straordinaria speciale prevista dalla legge del 2003 e applicata per il crac della Parmalat. Spetterà poi al ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda la nomina di un amministratore che avrà sei mesi per la ricerca di un’acquirente o per la vendita dei singoli asset.
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