Appendino-Raggi, quei due metodi opposti. A Roma credito in fumo

Appendino-Raggi, quei due metodi opposti. A Roma credito in fumo
di Mario Ajello
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Martedì 17 Gennaio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:18
Diversamente grilline. Una è sugli altari, l’altra è nella polvere. E l’opposto destino di Chiara Appendino, in cima alla classifica dei sindaci più apprezzati, e di Virginia Raggi, penultima nella graduatoria del buon governo, non deriva soltanto dal fatto che Torino non è Roma. E che l’una ha trovato una città meno dissestata rispetto all’altra. Probabilmente, a parti invertite, la Raggi nel capoluogo piemontese non sarebbe diventata il sindaco più amato, in quanto più efficiente, e l’Appendino sul Campidoglio non sarebbe scivolata dal 67,2 di consensi ottenuti al secondo turno (tanti ne prese Virginia) a un meno 23,2 per cento che è il credito perduto in sette mesi dalla sua collega pentastellata.

Alla radice della clamorosa differenza di gradimento, c’è l’approccio che le due hanno scelto. Mai l’Appendino ha indossato da sindaca la t-shirt M5S, non ha partecipato in prima fila - come la collega romana - alla campagna referendaria gridando «il No sarà la fine di Renzi e dopo aver preso Roma ci prenderemo l’Italia» e al contrario di Virginia l’agit-prop ha evitato in tutti i modi qualsiasi politicizzazione del proprio ruolo. Dandosi quel profilo civico e di pragmatismo flessibile e realista a cui fa da sfortunato contraltare la continua esaltazione, da parte della Raggi, di cose compiute ma inesistenti e una reiterata evocazione di cose promesse ma neppure cominciate. Il tutto accompagnato da un condizionamento assoluto, e paralizzante, del sindaco da parte di Grillo («Se Beppe mi chiedesse di dimettermi, lo farei») e delle correnti e fazioni pentastellate. A causa delle quali, e dei limiti di auto-isolamento personale e poco trasparente del sindaco rispetto alla città, la Raggi non solo non è mai riuscita a dotarsi di una squadra all’altezza, mentre la Appendino l’aveva già scelta prima delle elezioni con tanto di vice-sindaco Giordana non grillino e considerato il vero sindaco. Ma è anche finita nel baratro delle indagini, degli arresti, del forsennato via vai degli assessori.

Il contratto di fedeltà che la Raggi ha firmato nella Casaleggio & Associati al momento di accettare la candidatura, e che la Appendino invece non ha mai stipulato, segnala la differenza d’origine - se svogliamo scomodare lo schema di una celebre diatriba cinquecentesca da Lutero e Erasmo - tra una sindaca da servo arbitrio e una sindaca da libero arbitrio. Ciò si traduce in una differente capacità e qualità di amministrazione. L’Appendino risulta rassicurante perché viene dal sistema che diceva di voler scardinare e con il quale viceversa dialoga e collabora ampiamente (fa coppia con il governatore Chiamparino, e il tandem è soprannominato Chiappendino). La Raggi ha predicato e insiste ancora sulla discontinuità e tuttavia risulta estremamente continuista nella mancanza di risultati pratici e nel deficit di azione e di visione. Le sue parole d’ordine, a cominciare «onestà», sono le stesse della Appendino, ma ora Virginia si trova alle prese con la detenzione di Marra e con l’evocazione dell’ingenuità o del complotto (anche dei frigoriferi) come alibi della non idoneità.

Il paradosso dei due sindaci sta nel fatto che il vero investimento politico Grillo e Casaleggio lo hanno fatto su quella che si è rivelata la meno attrezzata tra le due. La Appendino non era detto che vincesse le elezioni, e poi è diventata un fiore all’occhiello ma in un contesto particolare. La Raggi doveva essere invece il volto governista, su scala nazionale, di un grillismo capace di passare dalla protesta alla proposta e all’efficienza decisionale. Obiettivo fallito. Con tanto di smacco per i Cinque stelle: il ripudiatissimo sindaco di Parma, Pizzarotti, si piazza al terzo posto nella lista della gloria. Mentre Virginia, prigioniera di se stessa, della guerra per bande e di un rapporto mai cominciato con la città delle questioni irrisolte (dai rifiuti ai trasporti e così via), costringe Roma a dover guardare dal basso in alto non solo Torino ma perfino la piccola Parma. In un rovesciamento vergognoso della storia.

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