Barcellona rischia il crollo se costretta a uscire dall’Ue

Barcellona rischia il crollo se costretta a uscire dall’Ue
di Oscar Giannino
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Giovedì 21 Settembre 2017, 00:45
L’impensabile avviene. Ne è prova il silenzio che i grandi Paesi europei e l’Unione hanno riservato al procedere irto di pericoli verso il referendum sull’indipendenza della Catalogna, convocato l’1 ottobre dalla Generalitat catalana guidata da Carles Puigdemont. Un silenzio dovuto a tre fattori. Nessun grande Paese europeo ha voluto immischiarsi, per non dare spunti ad autonomisti e nazionalisti nei propri confini. Molti hanno immaginato che il governo Rajoy a Madrid avrebbe certo proclamato l’incostituzionalità del referendum, ma insieme offerto una trattativa politica. Infine, i più hanno sperato che i guai del Regno Unito, alle prese con una Brexit di cui non riesce a definire neanche il percorso d’inizio, avrebbero sbollentato la questione.

IL TRISTE SEGNALE
Un’illusione. Gli arresti di ieri azzerano ogni margine di trattativa. Ed è un triste segnale, che s’incarcerino rappresentanti di un governo locale eletto sulla base delle loro opinioni politiche in materia di autodeterminazione. E’ una sconfitta per lo spirito europeo, tornare ai tempi dell’Imperial Regio Governo Austriaco che metteva ai ceppi i carbonari lombardi. Sforzandosi di ragionare freddamente, e augurandosi che non vi siano violenze, ci sono tre macro ragioni che danno alla questione catalana una consistenza non liquidabile con misure di polizia.
La prima è politica. In Catalogna l’identità autonomista non è una trovata estemporanea ma ha radici secolari, perché si definì tra l’XI e il XIII secolo. Si annacquò con l’annessione al regno d’Aragona, rinacque nel primo Novecento, ottenne una prima autonomia negli Anni Venti, per essere brutalmente repressa dal franchismo.

Di qui la forte connotazione “di sinistra” dell’indipendentismo. Fino alla svolta ventennale della guida esercitata da Jordi Pujol dal 1980: ottenuto un primo statuto di autonomia, lavorò incessantemente per radicare il catalano come prima lingua, e per fare della Catalogna la più avanzata regione spagnola per concentrazione di manifattura ad alto valore aggiunto, multinazionali, ricerca scientifica e servizi avanzati. Pujol capì col tempo che la Catalogna avrebbe ottenuto di più trattando coi popolari a Madrid, e spostò verso il centrodestra l’indipendentismo. Col suo successore, Artur Mas, la trasformazione è diventata completa: il suo PdCat è una vera forza di destra nazionalista, catalana però. Tre anni fa l’errore di Rajoy fu di non capire che ormai l’indipendentismo catalano raccoglieva formazioni dalla destra estrema alla sinistra extra sistema e anticapitalista del CUP. Allora, Mas chiese a Madrid di estendere l’autonomia catalana sulle proprie tasse, visto che paradossalmente la microscopica Navarra ne ha di più della Catalogna. Rajoy chiuse la porta alla trattativa. Se avesse detto sì, non sarebbe nata l’iniziativa del referendum indipendentista: la colpa è di Madrid e anche allora la Ue tacque.

LA SECONDA RAGIONE
La seconda ragione è economica. La catalogna ha un Pil superiore a 200 miliardi, poco più di un quinto dell’intera Spagna. Come Pil procapite equivale alla Norvegia ma senza il suo petrolio, con gli abitanti della Svizzera in un territorio come il Belgio. La contesa è sui 17 miliardi che il reddito catalano fa incassare a Madrid, che ha rafforzato in questi anni la dipendenza della Generalitat dai propri trasferimenti. Altro errore marchiano. La Catalogna ha esportato 65 miliardi all’estero nel 2016 tra beni e servizi, di cui oltre un terzo verso paesi Extra Ue, e il flusso verso la Spagna è stato di 48 miliardi. Nel post 2008, la crescita dell’export catalano è stata spettacolare, dal minimo di 41 miliari nel 2009 fino ad aumentare di oltre un terzo, con trimestri su trimestri in cui la sua crescita era il 5-7%. Da quattro trimestri il suo Pil congiunturale cresce più del 3,5%. La sua disoccupazione è inferiore di oltre un terzo alla media spagnola. Vanta rispetto alla Spagna il più alto numero di ERC – le borse di ricerca avanzate europee – nelle sue Università. Barcellona è la prima meta turistica spagnola: ogni anno assorbe oltre 30 milioni di visitatori. E alla Generalitat regionale Barcellona ha aggiunto un modello di città metropolitana con una pianificazione strategica decennale che mobilita tutte le categorie economiche e le forze culturali e civili della metropoli.

Uscire dalla Spagna significherebbe uscire anche dall’euroarea e dalla Bce? Sarebbe un disastro, per l’economia catalana. Il che spiega perché la maggioranza degli imprenditori catalani sia tiepida sulla secessione, e fortemente impegnata solo per accrescere l’autonomia finanziaria. Ma Bruxelles finora ha sempre escluso ogni automaticità tra secessioni nazionali e permanenza nell’Unione. E’ lungimirante o una forzatura? 
La terza ragione è culturale. Più ancora che per i Paesi baschi, l’autonomismo catalano non è stato piegato nella storia né dai re di Aragona né da quelli di Castiglia, né dalle stragi e dalle fucilazioni di Franco. I nuovi arresti creano nuovo eroi di una lunghissima epica, alimentano nuovi radicalismi invece di evitarli attraverso una trattativa politica seria. Su una maggiore autonomia che i catalani, con il loro modello avanzato di governance e successo economico, hanno mostrato da decenni di meritare. Credere che esistano Costituzioni immodificabili è un errore catastrofico del formalismo costituzionalista. 
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