Berlusconi disse a Sorrentino: «Porta il set ad Arcore»

Berlusconi disse a Sorrentino: «Porta il set ad Arcore»
di Malcom Pagani
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Venerdì 21 Luglio 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 31 Luglio, 19:45
Proprio come il Toni Servillo andreottiano, curvo nel fisico e flessibile nella laica attitudine alla vita: «Io non ho mai creduto che si possa distinguere l’umanità in due categorie, angeli e diavoli, siamo tutti dei medi peccatori». Paolo Sorrentino, refrattario al manicheismo, non giudica ma osserva.

Archiviati calciatori all’ultimo passo, riciclatori di denaro nella Svizzera verde, usurai della palude pontina, cantanti lontani dalle scene, annoiate terrazze romane e senescenze su cui riflettere all’ultima curva dell’esistenza, eccolo concentrarsi sul più grande spettacolo pop dell’ultimo quarantennio, Silvio Berlusconi da Milano, 81 anni a settembre, a ben vedere, un ragazzino. Fin dai tempi in cui immaginava Marx, Nietzsche e Gesù a disquisire della sorte di dio, Sorrentino ha sempre avuto un’attrazione per quelli che invece di mettersi comodi e appassire, giocano d’azzardo. Berlusconi l’ha fatto senza preoccuparsi delle conseguenze dell’odio o dell’amore ed esattamente come ogni altro oggetto d’indagine del regista, in questi anni di cinema a darsi la staffetta con la cronaca, Sorrentino l’ha studiato senza rinunciare alla tentazione di incontrarlo.

ZELIG IN VIA DEL PLEBISCITO
Non solo Veronica Lario dunque - conosciuta come informava La Stampa di ieri da Sorrentino e dall’attrice che dovrebbe interpretarla in “Loro”, Elena Sofia Ricci, ma Berlusconi stesso. Il set dell’ospite inatteso è via del Plebiscito. Accanto a Sorrentino e al suo storico produttore, l’amico fraterno dei tempi di Napoli, Nicola Giuliano della Indigo, tre uomini. Niccolò Ghedini, ansioso di carpire nella conversazione - il duro lavoro di sempre - cenni e pretesti per possibili future azioni giudiziarie. Un Gianni Letta sornione, apparentemente distante, ma in realtà attentissimo a ogni sillaba - comunque meno loquace di quando seduto su un altro divano, con la sigaretta in bocca e il taccuino in mano recitava per Alberto Sordi in “Io so che tu sai che io so” e infine, il vero protagonista di giornata, lo Zelig di questi nostri anni agitati, ribaldi e confusi, Berlusconi. 

BERLUSCONI SCATENATO
Un Berlusconi scatenato. Allegrissimo. Felice di poter parlare di cinema come anni fa era solito fare con Freccero e di blandire e sommergere di prospettive il nostro autore più importante, sperimentando la seduzione già esplorata con una parte rilevante del paese: «Lei è un regista straordinario, il mio preferito in assoluto, ho visto tutti i suoi film, le metto a disposizione tutto quel che vuole». E per tutto, l’uomo abituato ad atterrare a Milanello in elicottero o marciare in fila ai Caraibi con la truppa, intendeva ciò che non si può valutare. Ciò che è etereo. Ciò che per definizione balla tra terra e cielo. Sorrentino, divertito e un po’ basito, ascoltava. Silvio disponeva la mercanzia: «Se lo desidera le permetto di girare a Villa Certosa o nel mausoleo di famiglia ad Arcore». Nel solco della polaroid di Enzo Biagi: «Se Berlusconi avesse le tette farebbe anche l’annunciatrice» limiti e confini cadevano uno a uno.
A tanta felicità nel vedersi ritratto in un quadro in via di costruzione (senza sospettare, per innato ottimismo, che il dipinto possa essere tutt’altro che apologetico) corrisponde un’antica aspirazione berlusconiana già plasticamente resa pietra viva da Cascella: l’immortalità.

SILVIO ECUMENICO
Ben venga Sorrentino, quindi. Anche il Sorrentino più critico, perché comunque non sarà nulla che possa somigliare alle portate usa e getta di pronto uso interpretate dai personaggi del Bagaglino (Bye bye Berlusconi) né alle fiamme un po’ ideologiche de “Il Caimano” di Nanni Moretti. Sorrentino - in quanto Sorrentino - è la convinzione di Berlusconi, farà qualcosa di diverso. Non più ritratti foschi, postumi e un po’ iettatori quindi alla Jfk o biopic funerari alla Malcolm X, ma un film da vedere in piedi, in vita, tutto per sé, che esattamente come capitato ad Andreotti con Il Divo, gli permetta di durare più a lungo dell’anagrafe, della politica, delle elezioni e delle possibili alleanze, consentendogli di proiettare il proprio nome nei decenni a venire. Bene? Male? A questo punto è indifferente. Berlusconi la immagina come una sottile linea rossa da varcare, in cui, proprio come nei film di Malick, mito e suggestione, critica e analisi si possano confondere fino a trovare il loro punto d’incontro in un passato che si affacci sul futuro. Un futuro che nessun kit o “Storia italiana” spedita agli elettori e nessuna biografia (tantomeno quella vergata da Friedman che deluse Silvio oltremisura: «Ma come? Gli ho dato tutto quel tempo ed è venuta fuori una schifezza») avrebbero mai potuto rendere eterno. Sorrentino girerà la propria opera in assoluta autonomia e il risultato (è una certezza) non sarà mai un cinegiornale Luce. Ma Berlusconi, che in fondo anela girare il film della propria parabola nel ruolo di regista, guarderà al prodotto finale con benevolenza. Vedrà l’opera del premio Oscar - a prescindere dai contenuti - come un Oscar alla carriera. Come l’ultimo prezioso tentativo di stupire. Come un’appendice. In fondo, un film di Paolo Sorrentino, varrà comunque milioni di “Porta a porta”. Un film per “Loro”, come da titolo, ma soprattutto per se stesso. Non è in fondo questa l’essenza del vero Silvio?

 
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