Brunello Cucinelli: «Abiti, finita l'era dell'impazienza»

Brunello Cucinelli: «Abiti, finita l'era dell'impazienza»
di Maria Latella
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Venerdì 22 Settembre 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 25 Settembre, 15:01
Il saggio The sum of small things, a theory of the aspirational class (Princeton University Press) di Elizabeth Currid-Halkett prende avvio da una constatazione molto britannica: l’ora del tè. Come segnalare la propria collocazione sociale attraverso un impercettibile eppure riconoscibilissimo (da tuoi pari) dettaglio? All’epoca della regina Vittoria le élites avevano escogitato questo sistema: aggiungere il latte (freddo) dopo aver versato il te (bollente). Questo per segnalare che la porcellana del loro servizio era di eccellente qualità e non temeva di incrinarsi. 

Sono passati secoli, eppure la società ancora si interroga sui segnali che le élites inviano al mondo per segnalare le scelte che li contraddistinguono. Ci troviamo a parlarne in un contesto massimamente elitario come la sede milanese di Brunello Cucinelli, un brand di autentico lusso, circondati da cappotti da migliaia di euro, cashmere per i quali uno stipendio non basta. Come sta cambiando il gusto delle élite? Brunello Cucinelli, che ama i filosofi almeno quanto la sua azienda, la prende, come è suo costume, da lontano. E comincia dall’arte dell’impazienza. La stagione frenetica in cui, anche nel mondo della moda, tutti volevano tutto subito, eliminare le collezioni stagionali, eliminare le sfilate, abiti di grande qualità sfornati a tamburo battente, come fa Zara, come fa H&M. Tutta questa impazienza, dice Cucinelli, sembra tramontata.

Che cosa glielo fa credere?
«Mi guardo intorno. L’arte di attendere è il contrario dell’impazienza e mi sembra che stia vincendo. Anche nella nostra politica. Personalmente apprezzo infinitamente lo stile paziente di Mattarella e Gentiloni».

Insisto: nel mondo della moda si impone la velocità: con un clic in due giorni ti arrivano a casa le Louboutin che volevi....
«È proprio questo che sta cambiando. Oggi sinonimo di esclusivo è attendere per averlo. L’idea che non tutto è pronto alimenta il desiderio. E le assicuro che nessuno rinuncia a qualcosa di esclusivo solo perché deve aspettare. Quando si collegano al nostro sito di e-commerce e chiedono un cappotto da seimila dollari noi spesso rispondiamo: deve aspettare la settimana prossima. Nessuno dice no».

Che cosa coglie di nuovo in questa settimana della moda?
«Intanto devo dire che la Fashion week di Milano è ormai una delle più belle. Non dico la più bella per rispetto a quella di Parigi. Poi, come si diceva, mi sembra si sia introiettato il concetto per cui aspettare è bello. Nessuno chiede più di presentare subito quel che si vende».

Torna il piacere dell’attesa con il piacere dell’esclusivo.
«È legittimo desiderare qualcosa che non hanno tutti. Ma non per questo dev’essere costoso».

I suoi abiti però lo sono.
«Questa collezione rispecchia quello in cui credo: l’universalismo del mondo, un sentimento di apertura. Per questo l’abbiamo chiamata “Anima mundi”. Ed è anche più femminile del solito. Le silhouette si sono allungate: per le gonne ma anche nei pantaloni, a vita alta, con cinture che la sottolineano». Cucinelli si sofferma sui capi della nuova collezione. Tailleur maschili in un principe di Galles con intrecci luminosi, pantaloni di lino laminato. I colori sono neutri, quelli della terra dice lui, qua e là tocchi di colore, corallo per esempio, o azzurro avio.

Per tornare al tema dell’esclusività, voi come la difendete?
«Stiamo molto attenti a non inflazionarci. Da un lato sul fronte degli show room. Non servono più cinquecento punti vendita. Dall’altro, monitoriamo moltissimo la rete. Dal 1 gennaio abbiamo creato una struttura a protezione del brand. Obiettivo: evitare l’inflazione delle foto dei nostri abiti sulla rete. Noi stessi pubblichiamo poco, quello che pensiamo sia giusto e non una foto di più».

Come funziona il controllo Cucinelli sulla rete?
«Abbiamo una squadra di ragazzi che ogni giorno verifica cosa è stato pubblicato nel mondo del nostro brand. Faccio un esempio. Arriva una cliente cinese a Milano. Fotografa un capo. Lo compra e poi lo mette su una piattaforma cinese e lo vende a chi le pare. Ricorda quando venti anni fa le signore invitavano le amiche e vendevano i vestiti in casa? Ecco questo ora succede in rete. C’è chi viene in Italia, compra venti capi per convenienza di tassazione e poi vende a casa sua».

Ha detto che Internet la affascina.
«Confermo. Voltaire dice “se tu del tuo tempo non accetti il cambiamento perdi il tuo tempo”. Io vorrei soltanto capire come si puo governare la rete senza farci rubare l’anima».
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