Emoji, le duemila faccine dell’uomo moderno

Emoji, le duemila faccine dell’uomo moderno
di Andrea Andrei
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Lunedì 17 Luglio 2017, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 18:36
Sono diventati la forma di comunicazione più utilizzata, ma anche uno specchio dei tempi e dei costumi della nostra società, o semplicemente un fenomeno pop. Vengono usati per darsi appuntamento, per iniziare o terminare relazioni amorose, per commentare testi o programmi televisivi. Qualcuno è arrivato addirittura a tradurci libri come Moby Dick di Herman Melville o la Bibbia. Nell’era in cui le barriere spazio-temporali sono state annientate da Internet, sono ciò che ha permesso di sostituire il linguaggio più fisico e diretto: quello non verbale, dei gesti, delle espressioni, delle sfumature che arricchiscono e a volte stravolgono il significato di una frase scritta o pronunciata.

LA RICORRENZA
Oggi il mondo celebra gli emoji, faccine e disegnetti nati in Giappone nel 1999 dalla mente dell’informatico Shigetaka Kurita (diversi dalle emoticon, più elementari espressioni stilizzate che si formano con i due punti e le parentesi negli sms) utilizzati nei social network e nei programmi di messaggistica, da Facebook ad Apple, da Twitter a Skype passando per WhatsApp. Il World Emoji Day si festeggia infatti il 17 luglio, la data riportata sull’icona del calendario nella tastiera emoji di iPhone e iPad, come stabilito nel 2014 dal fondatore di Emojipedia (la Wikipedia degli emoji), Jeremy Burge. Una ricorrenza in occasione della quale è stato anche stabilito il record mondiale per il maggior numero di persone vestite da emoji in diverse parti del pianeta, da Londra a Mosca, da Dubai e Rio, e che è stato anche il modo per promuovere “Emoji: accendi le emozioni”, il film sulle faccine che approderà nelle sale italiane il 28 settembre.

Una ricorrenza che coinvolge diversi tipi di aziende tra cui Booking.com: il sito di prenotazioni online ha lanciato un contest che ha portato alla creazione di cinque nuove icone dedicate al viaggio. L’azienda ha quindi promosso una petizione su Change.org per chiedere l’adozione ufficiale degli emoji in questione all’Unicode Consortium, consorzio internazionale formato da Google, Ibm, Microsoft, Apple e Facebook.

I DATI
Esistono circa 2 mila emoji differenti, che spaziano dalle classiche faccine ai disegni più fantasiosi, dagli animali ai segnali stradali. Ma stando ai dati dei social network più famosi, l’emoji più utilizzato in assoluto è quello della faccia che ride con le lacrime di gioia. Poi ogni Paese ha le sue icone, il che potrebbe dirla lunga sui modi che ogni cultura ha di esprimere le emozioni. In una panoramica pubblicata oggi da Facebook, in Italia sul social network ci si scambia soprattutto la faccina che lancia un bacio, mentre in Francia si preferisce fare l’occhiolino, in Germania sorridere e negli Usa ridere fino alle lacrime. Sulla piattaforma ogni giorno vengono scambiati 60 milioni di emoji, mentre su Instagram già nel 2015 la metà dei commenti contenevano faccine (soprattutto in Finlandia, Francia, Regno Unito, Germania e Italia).

«L’aspetto interessante è l’evoluzione del fenomeno: gli emoticon erano un modo semplice per arricchire il linguaggio verbale, oggi gli emoji sono sempre più numerosi e raffinati, esprimono una gamma sempre più ampia di sfumature. Sono arrivate le gif animate, un’ulteriore evoluzione che permette in maniera sempre più profonda di esprimere emozioni tramite questi strumenti», spiega Paolo Peverini, docente di Comunicazione di marketing e linguaggi dei nuovi media Luiss Guido Carli - Xite.

Ma varietà non vuol dire per forza universalità, anzi. «Quello degli e emoji è un fenomeno nato dal basso, dagli utenti, ma che poi è stato arricchito, potenziato, rilanciato dalle grandi aziende che controllano il mercato - sottolinea Peverini - In tal modo gli utenti si ritrovano a selezionare le proprie emozioni da una lista, da un set predefinito. Tutti usano gli stessi emoji, anche se il significato in realtà varia a seconda delle culture. Ed è questo che rende i social così irresistibili: l’impressione di utilizzare degli strumenti neutri, naturali, che invece tali non sono».

LE FUNZIONI
Non è un caso se l’Unicode Consortium in più di un’occasione si è ritrovato a svolgere una funzione politica, come fu per l’introduzione di emoji di persone con differenti colori della pelle o in quello delle icone che raffigurano coppie omosessuali. Questi strumenti non sono comunque neutri nemmeno per le aziende che li mettono a disposizione. Per Peverini «l’esempio più lampante è Facebook: inizialmente, per commentare un contenuto sul social network c’era solo il pollice all’insù. Poi sono state introdotte le “Reazioni” che, sebbene siano limitate, danno modo agli utenti di dare informazioni molto maggiori sulle proprie opinioni: commentare con un pollice o con un cuore è molto diverso. E queste informazioni sono preziose per le aziende che vogliono fare profilazione dei clienti».

Ma oggi gli emoji sono diventati anche un fenomeno pop a tutti gli effetti, come ricorda Peverini: «Non hanno più soltanto valore comunicativo, ma anche estetico: gli utenti li utilizzano per “adornare” un messaggio. Sono una moda, un fenomeno popolare ma anche pop, che strizza l’occhio ai giovanissimi». Si fa presto a dire “faccine”.

andrea.andrei@ilmessaggero.it

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