Dalai Lama: Pechino teme chi mi succederà

Dalai Lama: Pechino teme chi mi succederà
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Venerdì 21 Ottobre 2016, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 18:16
dal nostro inviato Franca Giansoldati
MILANO In arcivescovado, all’ombra della Madonnina, il XIV Dalai Lama, regge il microfono al suo traduttore («non sapendo l’italiano mi rendo utile»), scherza più e più volte con il cardinale Scola dopo avergli messo al collo il kata, la sciarpa bianca di onore e buon auspicio, naturalmente si scusa se ovunque mette piede crea sempre dei problemi. Da ieri Tenzin Gyatso è cittadino onorario di Milano, un atto di libertà mal digerito dal governo di Pechino. Premio Nobel per la Pace (e per la simpatia) non perde il buonumore e rispolvera persino la figura di Enrico Berliguer, additandolo ai cinesi come esempio di leader comunista tollerante e rispettoso. Il cardinale Scola gli dà il benvenuto con tutti gli onori e lo presenta così: «Milano sta passando un momento di effettivo risveglio e le possibilità di questa città stanno generando una nuova responsabilità». Terminato l’incontro si concede ai giornalisti per una intervista congiunta.

Ci parla un po’ della reincarnazione del prossimo Dalai Lama e delle difficoltà con Pechino?
«Ho detto chiaramente che l’istituzione del Dalai Lama è di vecchia di 4 secoli, e che la sua continuità dipende dalla volontà dei tibetani: se la vogliono oppure no. Nel 2011 mi sono ufficialmente ritirato da tutte le attività e responsabilità politiche. Per 4 secoli l’istituzione del Dalai Lama era al tempo stesso politica e spirituale. Io con grande orgoglio e onestà mi sono dimesso. Ora il mio popolo sta provvedendo ad eleggere i leader tibetani. Eppure non basta. La continuità spirituale del Dalai Lama sembra che sia qualcosa di importante per i cinesi. Sembra che siano preoccupati del prossimo Dalai Lama più del Dalai Lama stesso. Io ci scherzo sopra perché è una contraddizione in termini. Il partito comunista cinese di per sé non ha una religione, non crede in nessuna fede, tantomeno nel buddismo, anche se in Cina ci sono 400 milioni di buddisti praticanti. È il partito comunista. Mi permettete una divagazione?».

Ovviamente...
«Un giorno mi hanno detto che Berlinguer - che era comunista ma aveva tanto rispetto per le religione - portava ogni domenica la moglie in macchina in chiesa. Questa cosa mi ha colpito tanto. Ai cinesi dico che se sono tanto preoccupati per la reincarnazione del Dalai Lama, per prima cosa dovrebbero accettare il sistema delle reincarnazioni come insegnato dal buddismo. E poi una volta che hanno accettato questo, prima di pensare al Dalai Lama dovrebbero pensare a riconoscere la reincarnazione di Mao o di Deng Xiao Ping». (Il Dalai Lama scoppia in una risata).

Anche a Milano non si sono fatte attendere le proteste al suo arrivo...
«Questa è una cosa normale. Dove vado protesta sempre la comunità cinese. Eppure anche voi sapete che io non promuovo affatto l’indipendenza del Tibet. Noi tibetani vogliamo vivere insieme alla comunità cinese. Peccato che vi siano alcuni funzionari testoni ai quali non entra in testa questo concetto, e mi dipingono come un separatista. Ma non è vero. Fateglielo sapere voi se ne avete modo. Le proteste che ci sono state sono organizzate probabilmente dall’ambasciata cinese. Se si ha l’opportunità di incontrare questi funzionari magari a tu per tu la pensano diversamente. Mi è capitato di incontrare studenti cinesi o anche professori che inizialmente erano diffidenti, ma poi alla fine la diffidenza aveva lasciato spazio alla amicizia».

Le è dispiaciuto non essere stato invitato ad Assisi all’incontro inter religioso con Bergoglio?
«Il punto è che il Vaticano è molto preoccupato per la sorte dei cristiani in Cina; questa è una preoccupazione genuina che deve essere rispettata e io non voglio creare problemi di sorta in questa direzione».

Secondo lei il dialogo inter religioso in questi anni ha fatto passi avanti o indietro?
«Penso che ci sia stato un miglioramento. Oggi è diventata quasi una routine per i capi religiosi fare dei raduni. Una volta mi trovavo in Australia a un evento pubblico sono stato introdotto come un bravo praticante cristiano. Quando è toccato a me, ho descritto il mio interlocutore come un bravo praticante buddista. Ci sono tante pratiche in comune basate su amore e compassione. Abbiamo esattamente la stesse potenzialità interiori a sviluppare esseri umani fantastici. Diverse volte sono stato in monasteri cristiani in cui si pratica la semplicità e la meditazione, e sono posti pieni di energie armoniose».

 
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